UN PAESE MIGLIORE (il colera del 1867)
UN PAESE MIGLIORE
(l’epidemia di colera del 1867)
COLERA s.m. (gr. choléra) Malattia infettiva che si manifesta con il quadro di una grave gastroenterite acuta.
Sintomatologia. dopo un periodo di incubazione che va dai 2 ai 5 giorni compaiono i prodromi della malattia sotto forma di violenti dolori addominali, scariche diarroiche, nausea e vomito. Poi ha inizio il periodo algido contrassegnato al suo esordio da un brusco aggravamento della diarrea… le scariche diarroiche sono frequentissime e il volume delle deiezioni può raggiungere i 6-7 l in 24 ore. L’organismo si disidrata, di conseguenza compaiono crampi muscolari dolorosissimi, gli occhi sono incavati, la lingua arida, la sete inestinguibile, la faccia cosparsa di sudore freddo; la temperatura scende di alcuni gradi sotto i 37°C; la morte sopravviene in stato algido…
(Da “Enciclopedia della Medicina”, Rizzoli, Milano 1972)
Decine di migliaia di italiani morirono così, durante l’atroce 1867, massacrati dal colera (o cholera, come si scriveva allora) che non risparmiò nessun luogo della nuova Nazione dal Nord come al Sud. Fu la prima vera emergenza civile italiana.
Il primo accenno arriva da una scarna notizia riportata dalla Gazzetta Piemontese del 20 febbraio 1867.
“… alle tante calamità ond’è afflitta l’Italia, ora dobbiamo aggiungere la ricomparsa del cholera, che con crescenti casi va serpeggiando in alcune provincie continentali meridionali e nell’interno della Sicilia….”
E’ l’inizio dell’incubo che minaccerà l’Italia per i dodici mesi successivi.
Il colera è giunto due anni prima dall’Egitto e la prima terra ad essere raggiunta è stata la Sicilia, da dove ha risalito poi la Penisola, seminando morte ovunque. L’epidemia è esplosa di nuovo nell’estate del 1866 al termine della disastrosa Terza Guerra d’Indipendenza, questa volta nelle province venete di recente conquista ed ha mietuto numerose altre vittime in tutto il Regno. Nell’inverno 1866 il colera sembra scomparire ed il Paese tira un sospiro di sollievo, ma nell’Italia dei mille villaggi di allora rimangono dei focolai della malattia che riesplodono all’improvviso nei primi due mesi del 1867.
Già cinque giorni dopo l’allarme lanciato dalla Gazzetta Piemontese si contano le prime vittime in Piemonte, presto tutta l’Italia viene attaccata. In aprile la situazione diventa catastrofica ed incontrollabile.
Le autorità cominciano a correre ai ripari. Si inizia con il porre in quarantena le navi provenienti dall’estero. Lodevole iniziativa, dato che in Medio Oriente il colera continua a colpire, peccato però che come si è detto il morbo non fosse mai scomparso dal nostro Paese. E’ la classica chiusura della stalla dopo la fuga dei buoi.
Vengono mobilitate le forze armate e le forze di polizia. Intere brigate mettono a disposizione i propri uomini e le proprie strutture ed altrettanto fanno le forze di polizia.
Moriranno in tanti, nel generoso soccorso agli ammalati..
Come accade nel paese di Naro, in Sicilia. Quando il sindaco della cittadina, impegnato in prima linea al soccorso alle vittime, muore stroncato dal colera, gli altri amministratori non lo sostituiscono. Alcuni di loro sono stati colpiti dal morbo, altri sono semplicemente terrorizzati dall’idea di poter essere contagiati.
E’ così che il 9 giugno il governo decide di sciogliere il consiglio comunale e di nominare quale delegato straordinario al comune di Naro il giovane delegato di pubblica sicurezza Giuseppe Scaletta, dell’Ufficio di PS di Girgenti. Il delegato prende estremamente sul serio il proprio compito, impegnandosi con coraggio nei soccorsi agli ammalati. C’è molto da fare in quei giorni, come il trasporto dell’acqua pulita, dei medicinali e dei disinfettanti in paese e il trasporto degli ammalati verso strutture pulite ed idonee all’accoglienza, come consigliato dai medici più moderni ed illuminati che hanno compreso bene l’origine della malattia. Ci sono da evitare i saccheggi delle abitazioni di Naro da parte dei ladri, c’è da calmare la popolazione spaventata, c’è da chiedere anzi, da esigere, dalla prefettura di Girgenti l’arrivo di altri medici, di soldati, di cibo. Scaletta, insieme alle poche guardie di PS, militi e carabinieri che gli sono stati assegnati in quei giorni è dovunque e i naresi trovano conforto in quel giovane poliziotto siciliano come loro che sembra essere instancabile.
Instancabile, ma non immortale. A meno di dieci giorni dal suo arrivo viene stroncato a sua volta dal colera. Tutto ciò che rimane del suo coraggio sono poche righe sui quotidiani nazionali e sul “Manuale del Funzionario di Sicurezza Pubblica”, la rivista semiufficiale della Polizia di allora.
Come Giuseppe Scaletta, migliaia di poliziotti, carabinieri ed i militari sono gli unici ad impedire che la Nazione vada a pezzi, in quei giorni. Ci sono cronache incredibili in quei giorni, cronache che più dal secolo della modernità, come venne definito il 1800, sembrano provenire dalle pagine di Manzoni dedicate alla peste del 1625, con il suo racconto delle “cacce all’untore” e della fuga dalle località colpite*.
In un villaggio si scatena una vera e propria insurrezione contro i militari ed i carabinieri accusati di propagare il morbo. Nello scontro restano uccisi due ufficiali e alcuni soldati. In un altro villaggio gli abitanti cercano di linciare un povero cristo, accusato di essere il propagatore della malattia, il quale si salva soltanto grazie all’intervento del delegato di PS e di alcuni carabinieri. In una cittadina, contrariamente agli ordini delle autorità, si svolgono i funerali pubblici di un uomo ucciso dal colera e quando il delegato ed i carabinieri cercano di impedirli vengono aggrediti dai partecipanti alla cerimonia. In una cittadina una ragazza, ricoverata in quarantena presso l’ospedale locale ne viene cacciata da un branco di esagitati, capitanati dal signor sindaco in persona. Gli amministratori locali fuggono, abbandonando le popolazioni a loro affidate.
Il governo nazionale agisce con decisione. Decine di comuni vengono commissariati ed affidati a funzionari dello Stato, centinaia di funzionari pubblici cacciati o sospesi dal servizio, i tentativi di insurrezione e linciaggi dei presunti “untori” vengono sedati con fermezza, spesso con durezza.
Le pagine dei giornali del tempo sono pieni di questi episodi, mentre nei giornali viene esaltato il coraggio dei singoli. Come quello del delegato di Treviglio Giulio Francini che guida i soccorsi nella propria giurisdizione nonostante egli stesso sia stato colpito dalla malattia, come quello di altri funzionari, come il delegato Longoni a Mordano (BO), quello dell’ispettore Fioccardi a Bergamo, del delegato Balsimelli nel Teatino e di tanti altri.
O come quello del delegato Gennaro Placco, la cui storia merita di essere raccontata.
Il nome della località in cui accadono i fatti non ha importanza**. Due persone, debitrici di una certa somma ad una donna del paese, l’accusano di fronte ad una folla di esagitati di essere lei a “spargere” il colera. La folla fa irruzione nella casa della donna e fa letteralmente a pezzi la poveretta, bruciando sulla strada i macabri resti, quindi cerca di linciare la famiglia della vittima. La turba è già riuscita ad afferrare la figlia di 14 anni della poveretta e sta per farle fare la stessa fine della madre, quando interviene il delegato Placco il quale si fa largo tra la folla, sferrando pugni e colpi con il calcio della propria rivoltella e riesce a strappare la ragazzina dalle mani degli assassini ed a riportarla in casa. Il funzionario si barrica davanti alla porta, pistola in pugno, e da solo affronta la massa di esagitati che lo insulta e minaccia di ucciderlo. La folla si disperde solo grazie all’arrivo di due amici del poliziotto e del delegato e del maresciallo del paese vicino.
Si continua a morire durante i soccorsi. E’ esemplare quello che nel settembre 1867 scrive il “Manuale del Funzionario” sui carabinieri in Sicilia che “…il morbo mietè varie vittime fra l’arma dei carabinieri, e che oltre all’essersi assottigliata la legione (di Palermo) per i decessi avvenuti, molti di quelli che la componevano, per qualche tempo non saranno in grado di sopportare un faticoso servizio….”
Non viene risparmiato nessun angolo d’Italia: a Girgenti muore l’applicato Enrico Selvi, a Terranova (oggi Gela) il delegato Francesco Saccà, a Palermo l’applicato Ignazio Nicolosi, a Modica (RG) il brigadiere Antonio Brioschi, a Milano il delegato Felice Busca e l’applicato Giovanni Moraglia, a Bergamo il sottobrigadiere Angelo Verzeroli, una piccola celebrità della cronaca locale, ma è Messina a venire letteralmente massacrata. La questura è la struttura pubblica a subire le perdite più pesanti durante l’emergenza. Il questore si salva per miracolo, numerosi altri funzionari ed agenti contraggono il morbo e muoiono gli ispettori Giacomo Agresta e Alessandro Avitabile e i delegati Domenico Pompeo e Giuseppe Fatigati e quelle che le cronache del tempo definiscono “parecchie guardie”, senza precisarne il nome o almeno il numero.
Quando la malattia cessa, verso l’inizio del 1868, si lascia alle spalle un’Italia devastata dalla morte di decine di migliaia di suoi cittadini. Sono morti in tanti, in troppi, ma senza gli sforzi dei medici, dei funzionari statali, dei militari e degli agenti impegnati nei soccorsi le vittime sarebbero state certo molte di più, raggiungendo un numero incalcolabile e forse fatale per la stessa esistenza della Nazione.
L’Italia verrà colpita da altre terribili epidemie di colera, negli anni ’80 del XIX Secolo, che richiederanno un altro e pesante tributo di vittime, ma ora la scienza ha compiuto balzi da gigante nella scoperta, nella cura e nella prevenzione della malattia e nessuna delle epidemie si avvicinerà più all’incubo del 1867.
L’anno in cui l’Italia uscì dal Medioevo ed ebbe l’occasione di poter essere un Paese migliore.
Peccato non averla completamente colta. La memoria di tutti coloro che morirono l’avrebbe meritato.
Dedicato a loro.
* Ciò accade in tutta Italia, dal Nord al Sud. Poiché ritengo che le colpe degli antenati non debbano ricadere sui discendenti ho volutamente evitato di citare le località, comunque equamente distribuite su tutto il territorio nazionale e rintracciabili facilmente da chi desideri farlo sulle cronache del tempo.
** Come sopra