BASTA POCO (le guardie di P.S. Bosu e Rezza, Roma 1944)
“Bastardi!”
“Comunisti! Schifosi comunisti!”
“Maledetti monarchici! Cos’è? Siete già pronti a tradire i camerati tedeschi come il vostro Re?”
“Luridi comunisti! Bastardi! Figli di puttana monarchici! Nemici del Duce!”
Li hanno massacrati per ore a pedate e pugni, con i calci dei fucili, li hanno frustati con la cinghia delle tracolle. Ora si limitano ad insultarli e a sferrare loro qualche calcione ai fianchi con i loro pesanti scarponi da lancio.
Lussorio e Francesco hanno smesso di protestare, quando hanno capito che ogni loro parola avrebbe fatto infuriare ancora di più i loro carcerieri. Ora si limitano ad aspettare che questo incubo finisca.
Certo qualcuno in Questura si chiederà dove diavolo sono spariti gli agenti ausiliari Lussorio Bosu e Francesco Rezza, in servizio di pattuglia.
Certo qualcuno arriverà dalla Questura ed esigerà la liberazione di Lussorio e Francesco.
Certo….
Ma non arriva nessuno.
Gli Alleati sono ormai alla periferia della Capitale ed i vertici filofascisti della Questura stanno tagliando la corda. Di certo non hanno voglia di impelagarsi a litigare con i parà per un paio di sfigati di agenti ausiliari, mentre gli esponenti filo partigiani della Questura sono ancora deboli e disorganizzati e non sono in grado di tentare e forse nemmeno vogliono provare un’azione per liberare Lussorio e Francesco.
I due poliziotti sono soli ed ora il gruppo di paracadutisti li guarda con rabbia sorda e feroce.
“Ora ci ammazzano”.
D’accordo, la propaganda di estrema destra ha esaltato la scelta della RSI da parte di molti militari e civili dopo l’8 Settembre 1943, parlando di riscossa, di fedeltà all’alleato, della scelta della “via dell’onore”. Coloro che scelsero la RSI sono presentati come degli idealisti desiderosi di redimere l’Italia dalla vergogna della resa.
In un certo senso è vero. Vi furono molti, forse moltissimi militari e civili che scelsero di schierarsi con la Repubblica Sociale per motivi idealistici, ma ve ne furono altrettanti che scelsero Salò per motivi meno nobili.
Tra i primi a schierarsi con la RSI, prima ancora della liberazione di Mussolini, sono i soldati del XII Battaglione Paracadutisti della Divisione Nembo. La retorica di estrema destra ha sempre esaltato questa unità, definendola con accenti eroici, parlandone i difensori di Roma Eterna dalle orde barbariche angloamericane. Certo, seppero combattere bene ed a volte eroicamente, ma la retorica ha contribuito a far dimenticare che costoro entrarono nella storia della RSI e della guerra civile con un duplice omicidio e ne uscirono con un altro doppio delitto.
All’indomani dell’ 8 Settembre 1943 alcune unità della Nembo sono acquartierate in Sardegna, nel Cagliaritano. Alla notizia dell’armistizio i parà ed altri soldati, sobillati dai tedeschi, decidono di disobbedire agli ordini del governo e di schierarsi con la Germania.
Il XII battaglione della Nembo si ritira verso il nord della Sardegna per congiungersi con le truppe della Wehrmacht che stanno cercando di raggiungere il Continente. Ma il comando della divisione Nembo invia per fermare i disertori il Capo di Stato Maggiore dell’unità, il tenente colonnello Alberto Bechi Luserna, un ufficiale leggendario ed amato, un pluridecorato combattente di tre guerre, il comandante eroico del IV Battaglione Paracadutisti della Folgore ad El Alamein. Non si vuole arrivare allo spargimento di sangue tra italiani e si conta sull’indubbio carisma dell’ufficiale per fermare gli ammutinati.
L’auto con a bordo Bechi Luserna viene fermata ad un posto di blocco dei disertori a Borore, nei pressi di Macomer. Qui l’ufficiale cerca di convincere gli uomini della Nembo a ritornare nei ranghi. In seguito, per giustificare quello che accadrà, la storiografia di estrema destra dirà che Bechi Luserna ha estratto la pistola e l’ha puntata contro i paracadutisti al posto di blocco o che l’ha fatto uno dei carabinieri di scorta o che Bechi Luserna ha fatto un gesto male interpretato da un parà particolarmente nervoso o che l’ufficiale comandante dei ribelli è inciampato scendendo dall’auto e che uno degli ammutinati ha pensato che il proprio ufficiale fosse stato aggredito.
In sostanza, un coacervo di balle.
Certo, Bechi Luserna sicuramente usa dei toni duri, ma è un parà che parla ad altri parà e usa l’unico linguaggio che essi comprendano: il linguaggio di chi con loro ha affrontato la morte sui campi di battaglia.
A Borore è in piedi sulla Fiat 1100 scoperta e qui, con coraggio, affronta i ribelli parlando della necessità di necessità di obbedire agli ordini senza discutere, per non spezzare il Corpo dei Paracadutisti e con essa l’unica unità organica del Regio Esercito che non si sia dissolta l’8 Settembre. Dobbiamo immaginare i suoi sentimenti mentre, durante il proprio discorso, comprende che alcuni soldati ammutinati si stanno rendendo conto dell’enormità del loro gesto e stanno per tornare nei ranghi.
E’ la più grande soddisfazione per un Comandante come Bechi Luserna che ama e rispetta i propri uomini e che non può accettare di vederli autodistruggersi: ora li riporterà a casa, lo sa.
I capi dell’ammutinamento non possono permetterlo, aprono il fuoco contro di lui e lo ammazzano a raffiche di mitra insieme ad uno dei carabinieri della scorta, ma non seppelliscono il corpo e nemmeno lo abbandonano. E’ stato un omicidio efferato e la pubblicità su questo delitto sarebbe un disastro per il nascente esercito neofascista. Caricano il cadavere di Bechi Luserna su uno dei camion dell’unità e attraversano l’intera Sardegna insieme ai tedeschi in ritirata poi, una volta imbarcatisi, lo gettano in mare.
Una volta raggiunta la Penisola il XII Battaglione, trasformato in Battaglione Nembo si batte bene contro gli alleati nel settore di Anzio ed è una delle unità della RSI cui viene affidata la difesa finale di Roma. Il 4 giugno, nei pressi di Castel di Decima, c’è l’ultima vera battaglia del Nembo, nella quale rimangono uccisi il comandante dell’unità ed alcuni parà, uno dei quali è l’ex guardia di PS Balzino Balzini, già in servizio alla Questura di Gorizia, dimessosi dalla Polizia per arruolarsi nell’esercito della RSI. I superstiti di Castel di Decima ritornano a Roma al loro comando, sconfitti e furibondi, per preparare i loro equipaggiamenti e seguire neofascisti e tedeschi nella loro fuga verso il Nord Italia.
Sui camion che riportano nella Capitale quegli uomini carichi di odio e di rabbia. Sono degli uomini sconfitti furibondi, convinti di essere stati battuti non dal nemico, ma dal presunto tradimento dei connazionali. I loro sguardi sono torvi e feroci mentre si guatano intorno, bramosi di cogliere un gesto imprudente da parte di chiunque. Ma non ci riescono, i romani cercano di evitare di farsi vedere in giro. La guerra a Roma sta per finire: non è il caso di farsi ammazzare negli ultimi secondi di occupazione.
Ma gli occhi dei paracadutisti cadono quasi per caso su due agenti di pattuglia: le guardie ausiliarie di pubblica sicurezza Lussorio Bosu e Francesco Rezza.
L’8 Settembre 1943 li ha colti mentre erano militari del Regio Esercito, impossibilitati a riunirsi alle proprie famiglie, rimaste per Lussorio in Sardegna e per Francesco in provincia di Bari. Probabilmente non si sono arruolati come agenti ausiliari di Polizia animati da chissà quale anelito patriottico ma, come molti militari della RSI, più semplicemente perché è il modo più sicuro per evitare la deportazione in Germania e per guadagnare uno stipendio che, per quanto non esaltante, permette loro di sopravvivere dignitosamente. Durante la durissima occupazione tedesca di Roma hanno assistito alla morte ed all’orrore dal rastrellamento del ghetto ebraico, ai bombardamenti, alle Fosse Ardeatine, alle sopraffazioni tedesche, agli attacchi partigiani e se la sono sempre cavata. Gli è andata bene, almeno finora.
Le guardie ausiliarie di PS sono spesso male armate e peggio equipaggiate e i rapporti diretti a Mussolini ed ai vertici della RSI da parte di Giorgio Pini, inviato del duce nel Nord Italia nel 1944, sono precisi e desolanti “…uomini niente equipaggiati, tanto che sembrano veri zingari…” “…nessuno degli agenti possiede una divisa…” “…solo il 40 % degli agenti armati…” “….117 agenti ausiliari che vanno a dormire a casa perché non c’è caserma, privi di scarpe, di uniformi, di cappotti, quasi senza armi…” “…150 ausiliari scarsamente vestiti e peggio armati…” . Come stupirsi se molte guardie ausiliarie taglino la corda o collaborino più o meno apertamente con i partigiani?
E’ difficile dire se Lussorio e Francesco abbiano fatto altrettanto. Non è impossibile, ma è molto più probabile che come la maggior parte degli italiani si siano limitati a fare il proprio lavoro, in attesa della fine della guerra, ritenendosi fortunati per il poco che riescono ad ottenere: il rancio caldo ad un posto di blocco, un paio di sigarette in più allo spaccio del battaglione, una coperta non infestata dai pidocchi, una tessera annonaria, un’ uniforme pulita e senza rattoppi, come quelle estive che ora stanno indossando durante il servizio di pattuglia, quel 4 Giugno.
Si tratta di uniformi del Corpo degli Agenti di PS e provengono da qualche magazzino sfuggito ai saccheggi dei civili e dei tedeschi dopo l’8 Settembre e al bavero portano ancora le stellette appartenenti al Regio Esercito, distribuite alla Polizia nei 45 giorni del governo Badoglio, nel 1943, e non quelle con i fascetti al bavero o con il gladio dell’Esercito Repubblicano. E sono queste che non sfuggono agli “eroi” della Nembo: hanno preso un bel fracco di legnate dagli Alleati a Castel di Decima ed ora, per quella sconfitta, pagheranno questi due poliziotti che portano a spalla un paio di patetici moschetti ’91 ed hanno la mostruosa colpa di indossare le uniformi che portano al bavero le odiate stellette monarchiche.
Lussorio e Francesco vengono disarmati, picchiati e trascinati a forza nella sede dell’Istituto di Botanica dell’Università di Roma, trasformato in comando del “Nembo” e qui ancora subiscono pestaggi e torture. I prodi “redentori dell’onore d’Italia” massacrano così due ragazzi di nemmeno 25 anni, colpevoli di indossare sull’uniforme le “stellette” poi Lussorio e Francesco vengono messi al muro, senza uno straccio di processo, senza una accusa degna di questo nome e fucilati.
I loro corpi verranno ritrovati quando, poche ore dopo, il “Nembo”abbandonerà Roma diretto verso il Nord. Da allora in poi l’unità, nata da un delitto come l’assassinio del colonnello Bechi Luserna, parteciperà in Piemonte alla guerra civile ed ai suoi massacri sino all’aprile 1945.
Nel Dopoguerra alcuni paracadutisti verranno condannati per l’omicidio di Alberto Bechi Luserna (anche se ancora oggi esistono versioni che parlano di un “incidente”) il cui sacrificio verrà onorato anche dall’intitolazione di caserme dell’Esercito e di vie e piazze. Nessuno, almeno che io sappia, ha mai pagato per l’omicidio delle guardie ausiliarie di P.S. Lussorio Bosu e Francesco Rezza.
Oggi una lapide posta presso l’Istituto di Botanica di Roma ricorda il loro sacrificio. Non è poco, per un Paese senza memoria come il nostro.
(per la redazione di Cadutipolizia.it Fabrizio Gregorutti)