DUE RAGAZZI (25 aprile 2007)
C’è una lapide all’esterno del comando della Polizia Ferroviaria di Torino. Ricorda il sacrificio, avvenuto il 10 Giugno 1945, di due giovani Poliziotti, due ragazzi che tra tutti e due non facevano nemmeno quarant’anni.
Si chiamavano Alberto Cavallera ed Antonio Lemma, avevano rispettivamente 19 e 17 anni. Fino a un mese e mezzo prima avevano combattuto nella Resistenza contro l’invasore tedesco e contro i fascisti, per ridare la Libertà ad un’Italia che l’aveva dimenticata per vent’anni, per restituire alla Patria una Dignità che sembrava essere morta dall’8 Settembre. Quando, anche grazie a loro, l’Italia fu di nuovo una Nazione libera ed indipendente, Alberto e Antonio scelsero di entrare in Polizia.
Perché?
Di loro ci rimangono solo due foto, probabilmente scattate nei primi giorni del Dopoguerra.
Nella sua, Alberto sorride all’obiettivo. Un sorriso allegro e scanzonato, sembra quasi prenderti in giro. Non è difficile immaginarselo come il giullare che non manca mai in nessun posto di lavoro, quello dalla risata contagiosa e che ti fa ridere a crepapelle con le sue barzellette e con i suoi scherzi. Ma c’è qualcosa in quel sorriso, una fierezza e un orgoglio che traspaiono dagli occhi di Alberto. La fierezza e l’orgoglio di un ragazzo coraggioso, diventato adulto troppo in fretta. Il vicolo dove abitava prima della guerra, a Cuneo, ora è stato ribattezzato Vicolo dei Quattro Martiri, in memoria di Alberto e di altri tre giovanissimi partigiani Caduti durante la Guerra di Liberazione e che come lui abitavano nella stessa piccola strada. Come poteva ritornare a casa ora, quando i suoi amici erano Caduti? Come poteva considerare esaurito il suo compito?
Antonio invece non sorride, guarda serio dentro la macchina fotografica, cercando di darsi un contegno da adulto che rivela, se fosse ancora possibile, la sua adolescenza. Probabilmente durante la Resistenza era stato un combattente coraggioso. Dovevi esserlo, per sopravvivere all’inferno delle montagne piemontesi di quei terribili anni, di fronte ai combattimenti con i nazisti e le truppe di Salò, alla paura dei rastrellamenti, all’orrore delle stragi, alla rabbia ed al dolore dei paesi e dei villaggi incendiati. Dovevi esserlo ancora di più se eri un adolescente come Antonio e non volevi essere un peso per i tuoi compagni più grandi e volevi partecipare con loro alla Liberazione della Patria. Anche nel suo sguardo puoi leggere la stessa fierezza e lo stesso orgoglio di Alberto. Quella di chi comprende che il suo compito al Servizio del Paese non si è esaurito con la Liberazione, ma che questo compito continua nella difesa delle ritrovate Libertà Democratiche, anche nelle piccole cose di tutti i giorni.
Alberto e Antonio quindi entrarono in Polizia come Agenti Ausiliari, mentre tanti loro compagni ritornarono alla vita civile, alle case, alle famiglie.
L’Italia di quei primi giorni era qualcosa di caotico. Un’epoca oggi inimmaginabile ed inconcepibile. Quando vennero arruolati, Alberto e Antonio vennero destinati alla Polizia Ferroviaria di Torino – Porta Nuova. In quei 45 giorni con ogni probabilità dovettero lottare contro i piccoli e grandi criminali che allora come oggi sembrano essere la fauna tipica delle Stazioni. Giocatori d’azzardo, prostitute, borsaneristi, borsaioli. Probabilmente Alberto ed Antonio lo considerarono un gran cambiamento, rispetto agli avversari precedenti come la Wehrmacht , le SS, le Brigate Nere e la X ^Mas.
Fino al 10 Giugno 1945 quando un giovane partigiano notò due persone sospette che si aggiravano nell’atrio della Stazione di Porta Nuova e li consegnò agli agenti della Polfer, tra i quali Alberto ed Angelo. Era una normale operazione come tante che in quel mese e mezzo dovevano aver fatto tante volte. Ma fu l’operazione che costò loro la vita. I due erano ex membri delle SS italiane, due traditori del loro Paese che avevano scelto di arruolarsi al servizio dell’invasore, considerando i fascisti di Mussolini troppo “molli” per i loro ideali fatti di odio e violenza, due criminali di guerra evasi che non avevano la minima intenzione di farsi catturare. Estrassero le pistole di cui erano in possesso e fecero fuoco, uccidendo Alberto ed Antonio, prima di essere a loro volta abbattuti da un altro agente.
Alberto ed Antonio morirono nel 45° giorno di pace. Alberto non aveva nemmeno vent’anni. Antonio appena 17 anni, probabilmente il più giovane Caduto nella Storia della Polizia Italiana. Raggiunsero i loro compagni che erano rimasti lassù, nelle buche scavate in fretta nei boschi.
Non so se Alberto ed Antonio sarebbero rimasti per sempre in Polizia. Mi piace pensare però lo avrebbero fatto, che avrebbero continuato la loro carriera, andando in pensione negli anni ’70-‘80 come marescialli, imprecando in piemontese stretto contro quegli imbecilli che nelle piazze cercavano di distruggere tutto quello per cui loro due avevano combattuto. Mi piace immaginarli come quei vecchi marescialloni che ho fatto in tempo a conoscere, carichi dell’ umanità e saggezza tipiche di chi ne ha viste troppe, disposti a perdonare il povero ragazzino sfigato, ma con lo sganassone facile verso il balordo.
Mi piace immaginarli ora come pensionati, mentre attorniati da moglie, figli e nipoti si godono la meritata pensione e, passeggiando lungo le rive del Po a Torino, ricordano quella primavera del 1945 in cui tutto sembrava possibile e in cui decisero di indossare il Blu per continuare a difendere quella Libertà per la quale avevano combattuto.
Alberto Cavallera ora avrebbe 81 anni
Antonio Lemma avrebbe 79 anni
(Fabrizio Gegorutti – Coordinatore di Cadutipolizia.it)