I Caduti silenziosi
I CADUTI SILENZIOSI
(di Gianmarco Calore)
Nei giorni passati la Redazione ha finalmente terminato di mettere ordine nel “database” generale dei Caduti della Polizia Italiana, prima di mettere on line la nuova piattaforma operativa.
Ad un tratto il mio sguardo si è fermato sull’elenco dei nostri “Fratelli” scomparsi a partire dalla fine degli Anni ’40. Per la maggior parte di essi, la stessa causa: “incidente stradale”. Punto.
Molti sono già stati censiti; molti altri risultano ancora con un’altra triste dicitura: “da verificare”.
Sono i nostri Caduti Silenziosi. Sono tanti. Di sicuro troppi.
Sono quei militari che negli anni ’50 percorrevano le nostre strade a bordo di scalcagnate motociclette per garantire la sicurezza ad un Paese fresco di democrazia, dopo avere spesso combattuto per essa sui monti, nei boschi e nelle città attraversate dalla guerra civile e dal caos successivo alla Liberazione; gli stessi che hanno continuato a servire l’Italia anche quando avrebbero potuto scegliere altre più comode occupazioni.
Sono quei militari che negli anni ’60 passavano ore a bordo delle camionette nelle “calde” piazze italiane. Colleghi che dopo 12 ore di servizio dovevano “macinare” altre centinaia di chilometri per rientrare ai Reparti; quei militari della “Stradale” chiamati in tutte le condizioni meteo ad intervenire per la sicurezza degli automobilisti, disponendo di un’infinita dose di buona volontà che doveva sopperire per forza alla carenza di mezzi ed infrastrutture.
Sono quei militari che negli anni ’70 venivano comandati di servizio anche per 24 ore continuate lungo le strade di un Paese impazzito, in cui giovani sparavano ad altri giovani in nome di un becero ideale rivoluzionario che nemmeno capivano e di cui credevano di essere la mente, quando erano invece solo il braccio. Militari che rientravano in caserma per vedersi nuovamente comandati di servizio con appena due ore di “stacco”. E che – ligi al dovere – si mettevano alla guida dei mezzi con gli occhi rossi, con le palpebre che si chiudevano ad ogni curva, con il Collega seduto a fianco che doveva prenderli a palettate sulle ginocchia per tenerli svegli.
Sono quegli Uomini e quelle Donne in blu che fino ai giorni nostri hanno adempiuto al loro dovere nella più assoluta coerenza e nel più assordante silenzio, chiamati a lavorare spesso a centinaia di chilometri da casa, sacrificando gli affetti più cari per una divisa che portavano con orgoglio.
Incidente stradale. Spesso “in itinere”, cioè avvenuto mentre si recavano in servizio o facevano ritorno dopo averlo terminato. Di notte. Di giorno. Con la nebbia. Con il sole. Con la pioggia. Sempre.
E la cosa più dolorosa per noi, chiamati a ricordarli in questo sito, è constatare come molto spesso di loro non resti neanche un articolo di giornale, una foto, un ricordo. Soprattutto per i più vecchi. Se la stampa di tutti i tempi è lo specchio della mentalità del Paese, ti rendi conto di come i giornali fossero pronti a notiziare tutta la città del fatto che la signora Amalia T. si era slogata una caviglia cadendo in casa mentre faceva le pulizie, ma non riferissero niente (assolutamente niente…) di tre Colleghi morti in un incidente stradale mentre rientravano in caserma dopo un servizio notturno di controllo del territorio. Se non ci fosse stato un Appuntato di P.S. in pensione che ricordava perfettamente l’avvenimento, per i tre Colleghi ci sarebbero state ancora e soltanto le diciture “incidente stradale da verificare”. Per sempre.
Ricordiamoli. Ricordiamo questi Ragazzi e Ragazze che sono morti per il nostro lavoro. Senza nulla togliere a nessuno dei Colleghi uccisi in altri più eclatanti frangenti della nostra storia. Perchè non si debba più leggere “incidente stradale da verificare”. Perchè non si debba mai perdere il loro ricordo.
(Per la Redazione di Cadutipolizia.it Gianmarco Calore)