Ignoto Militi
Da quasi un secolo un ragazzo guarda Roma dall’alto di uno dei monumenti più contestati d’Italia ma ugualmente più vicini all’anima della Nazione.
E’ un ragazzo, perché gli Eroi per definizione hanno sempre vent’anni.
E’ l’ultimo dono al Paese da parte della Democrazia Liberale che aveva fatto l’Italia.
E’ il Simbolo del Sacrificio dell’Italia in tutte le guerre affrontate dal 1861 a oggi.
E’ il Milite Ignoto e si trova al Vittoriano di Piazza Venezia, dinanzi al cui sacello sulla quale è scritto in latino IGNOTO MILITI ed arde la Fiamma Eterna, davanti alla quale due soldati rendono gli onori militari.
Il 4 Novembre 1918 l’Italia vinse la Prima Guerra Mondiale portando a compimento l’Unità Nazionale, ma a quale prezzo…680.000 soldati e marinai erano Caduti sui campi di battaglia del Carso, dell’Isonzo, della Carnia, delle Dolomiti, del Trentino, del Piave, del Monte Grappa. Oltre un milione furono i feriti e di questi decine di migliaia riportarono invalidità permanenti. Quasi 5.000 persero la ragione sui campi di battaglia e circa 20,000 soffrirono per il resto della loro esistenza di disturbi neurologici dovuti all’orrore di ciò a cui avevano assistito. Oltre 30.000 furono i Caduti mai identificati.
Poi ci furono gli strascichi finanziari. Intere regioni del Nord Est erano state devastate dalla guerra e dovevano essere ricostruite. L’inflazione era salita alle stelle.
Alla conferenza di pace di Versailles l’Italia, ritrovatasi tra i vincitori, era stata umiliata da parte degli Alleati i quali si erano spartiti i domini coloniali tedeschi ed i territori di confine austro germanici, mentre al nostro Paese rimasero quelle che vennero percepite come briciole. Per l’Italia vi era la sensazione di una “Vittoria Tradita”.
Molti reduci, sopravvissuti alle pallottole nemiche, vennero aggrediti e feriti ed a volte uccisi nelle strade da parte di appartenenti alla Sinistra, per la maggior parte rimasti imboscati durante il conflitto come operai nelle industrie di utilità bellica e che vedevano nei soldati i responsabili del disastro.
Tantissimi ex combattenti, per contrapposizione, si unirono a movimenti nazionalisti che si impossessarono del loro dolore, della loro disperazione e della loro solitudine, convogliandole in una rabbia che pochi anni dopo avrebbe portato alla nascita del Fascismo ed a una nuova guerra, ben peggiore della precedente.
Fu nel 1920, circa due anni dopo la fine della guerra che un valoroso ufficiale, il colonnello Giulio Dohuet, propose di onorare i sacrifici e gli eroismi della Nazione nella salma di un Soldato sconosciuto “simbolo della grandezza di tutti i soldati d’Italia e segno della riconoscenza dell’Italia verso tutti i suoi figli”. La proposta fu accolta con entusiasmo e, dopo una scelta iniziale sul Pantheon fu deciso per il Vittoriano, l’Altare della Patria.
Una commissione formata da Soldati decorati al Valore percorse i vari fronti bellici, dallo Stelvio all’Adriatico, riesumando le salme di undici soldati italiani non identificati dai cimiteri di guerra ma anche dalle fosse dove le mani pietose dei commilitoni sopravvissuti avevano frettolosamente sepolto i corpi durante le pause della battaglia. I membri vennero vincolati al segreto sul luogo delle riesumazioni, dando la loro parola di Soldati, perché quegli Undici e, soprattutto il Milite Ignoto che tra loro sarebbe stato scelto, sarebbero dovuti diventare il simbolo laico della Patria e qualsiasi riferimento al luogo del loro rinvenimento avrebbe fatto perdere la sacralità della scelta.
Le cronache dell’epoca parlano del dolore dei membri della Commissione mentre riesumavano le salme di quei Ragazzi Perduti e cercavano di trovare qualsiasi elemento per identificare i Caduti e riconsegnarli alle famiglie, ma le stesse testimonianze parlano degli abitanti di paesi e villaggi che rendevano omaggio in lacrime ai Caduti sconosciuti come gli abitanti del villaggio vicentino di Gallio, sull’Altopiano di Asiago, i quali non volevano permettere che una delle salme recuperata nei pressi venisse portata via “Questo ragazzo deve restare per sempre con noi – dissero – perché è morto per difenderci”. A fatica i componenti della Commissione riuscirono a convincere gli abitanti di Gallio che quel Caduto sconosciuto doveva essere destinato alla riconoscenza da parte di tutti gli Italiani e non solo da parte di un unico villaggio, ma le parole di quegli umili montanari sono il simbolo di come quella ricerca colpisse il cuore dell’Italia.
Gli Undici di Aquileia
Le undici salme furono portate ad Aquileia, dove una di loro doveva essere scelta per essere deposta all’Altare della Patria e diventare il simbolo della Nazione. A compiere questa scelta fu designata Maria Bergamas, madre di Antonio, un ragazzo nato nel Friuli Austriaco ma residente a Trieste e che aveva superato il confine per arruolarsi volontario nell’Esercito Italiano, morto a soli 24 anni in combattimento ed il cui corpo non era stato mai più ritrovato. Fu una di quelle cerimonie cariche di commozione che forse possono apparire retoriche e che in altri Paesi vengono organizzate dai grandi cerimonieri o dai registi di Hollywood, ma che solo noi Italiani siamo in grado di ideare e che ancora oggi riescono a toccarci nel profondo, forse perché sono parte di noi stessi e della nostra stessa essenza di Nazione.
Maria Bergamas
Il 28 Ottobre 1921 nella basilica di Aquileia, di fronte ad una chiesa gremita da Autorità, reduci ma soprattutto da tanta gente comune, Maria Bergamas, dopo avere cercato con lo sguardo le altre Madri e Vedove di Guerra presenti alla cerimonia come a invocare il loro aiuto, scossa dall’ emozione e dalla tensione camminò lentamente e con fatica dinanzi a quelle Undici bare coperte dal Tricolore, fissandole una ad una con uno sguardo intenso e colmo di dolore, mentre nella chiesa, secondo le testimonianze dell’epoca, il silenzio era tale che nessuno aveva nemmeno il coraggio di respirare.
Poi Maria Bergamas si fermò dinanzi ad una delle bare e lanciando un grido che risuonò alto nell’antica basilica, invocò il nome del figlio e cadde in ginocchio, abbracciando il feretro. Il rito era stato compiuto e quattro Decorati al Valore, sconvolti anch’essi dalla tensione del momento, raccolsero il feretro di colui che ormai era diventato il Milite Ignoto e lo deposero dinanzi all’Altare del Tempio, mentre le altre dieci bare rimanenti vennero coperte di fiori dalle Madri e Vedove di Guerra presenti alla cerimonia.
Mentre le dieci bare rimaste vennero sepolte nel cimitero di guerra di Aquileia il feretro del Milite Ignoto venne portato alla Stazione della città e di qui, a bordo di un carro ferroviario scoperto, il giorno successivo iniziò il suo lento viaggio verso Roma. La Nazione prostrata e ferita rese omaggio a quel convoglio ferroviario che a passo d’uomo scendeva verso la Capitale. Le cronache, le fotografie e le riprese cinematografiche del tempo raccontano e mostrano la commozione di centinaia di migliaia di Italiani che rendono il loro saluto al Milite Ignoto, delle bandiere rosse dei socialisti e dei comunisti abbrunate in suo onore, degli orfani di guerra che salutano il feretro, dei ciechi di guerra che si fanno descrivere dai loro accompagnatori il passaggio del Milite e che piangono al suo passaggio. Fu il commosso saluto di una Nazione a tutti i suoi figli perduti.
Il viaggio del Milite
Lo stesso “Avanti!” , il giornale del Partito Socialista che si era inutilmente opposto al conflitto, rese omaggio al Milite Ignoto dicendo che questi era certamente un figlio del Popolo e dunque tutti i proletari, pur maledicendo la guerra, dovevano rendergli omaggio. Fu un viaggio nell’Anima stessa dell’Italia, un’Anima che ancora oggi riesce ad affiorare, nonostante il cinismo di cui ci piace ammantarci.
La mattina del 4 Novembre 1921, sotto la pioggia battente, il treno con la salma del Milite Ignoto raggiunse la stazione di Roma e da qui venne trasportato all’Altare della Patria tra due ali di una folla immensa venuta a rendergli omaggio. Poi la bara venne deposta nel sepolcro dove riposa tuttora e qui, alle 10,36 la lapide chiuse per sempre il sacello, consegnando il Milite Ignoto all’Italia ed alla Leggenda.
Maria Bergamas, quella splendida e coraggiosa Donna che aveva affrontato la straziante cerimonia nella Basilica di Aquileia, morì nel 1952 nella sua Trieste. Quando nel 1954 la città giuliana fu restituita all’Italia, la sua salma venne deposta accanto ai Dieci Ragazzi Perduti che erano stati nella Basilica, quel 28 Ottobre 1921.
Una Madre tra i suoi Figli.
Sulla tomba di Maria l’Italia tracciò un’iscrizione
“MARIA BERGAMAS PER TUTTE LE MADRI IV NOVEMBRE MCMLIV”
Mai iscrizione fu più degna.
(per la redazione di cadutipolizia.it Fabrizio Gregorutti)