LA FORTEZZA (la difesa del Monte Festa, 30 Ottobre- 7 novembre 1917)
Oggi.
Il vento si abbatte impetuoso ed impotente contro le possenti mura di cemento armato della fortezza di Monte Festa. Investe con rabbia la stentata vegetazione che è cresciuta tra le postazioni dell’artiglieria e la sommità delle casematte e attraverso le feritoie riesce ad infiltrarsi all’interno dell’edificio, aggirandosi tra i corridoi e le gallerie abbandonate, danneggiate dal violento terremoto del 1976, dall’umidità delle piogge e del disgelo e coperte da detriti, abitate solo da qualche piccolo animale selvatico che ha cercato qui rifugio dai predatori.
La Natura sta lentamente riconquistando Monte Festa. Tra forse un secolo la Fortezza dove meno di duecento uomini salvarono migliaia di vite e, forse, una Nazione sarà solo un mucchio di rovine conosciute solo da qualche appassionato di Storia e della montagna e Monte Festa ritornerà ad essere la cima di un massiccio montuoso come era stata per milioni di anni, fino agli inizi del 1900, quando gli uomini decisero di trasformarla in baluardo.
Ieri.
La costruzione della fortezza da parte dell’esercito italiano inizia nel 1910, quando ancora l’Italia è alleata dell’Austria Ungheria. E’ un’alleanza strana, innaturale, tra due Nazioni che hanno combattuto duramente tra di loro sino a due generazioni prima e che ora, per giochi di potere tra le varie potenze europee e le alchimie politiche interne, si sono trovate nello stesso campo. E’ un’alleanza in cui entrambe le parti si guardano con sospetto, e con ragione. Ognuna delle due parti sta aspettando l’inevitabile momento che porterà alla rottura ed alla guerra.
La scelta di costruire un forte a Monte Festa, una cima alta 1060 metri sulle Prealpi Carniche, nel Friuli Settentrionale, è inevitabile. Da qui si possono tenere sotto controllo le valli dei fiumi Tagliamento e Fella e le frontiere settentrionali ed orientali del Regno d’Italia con l’Impero di Austria Ungheria. Monte Festa diventerà quindi parte del sistema difensivo italiano dell’Alto Tagliamento- Val Fella, insieme ad altre fortificazioni simili.
Il Genio Militare italiano inizia a edificare il forte, che in breve vedrà la costruzione di due batterie corazzate che saranno presto dotate di quattro cannoni da 149, delle casematte e dei depositi di munizioni provvisti di ascensore ricavati in due caverne della montagna. Ai piedi della fortezza vengono erette anche le casermette per i militari destinati alla difesa del baluardo e dei magazzini e addirittura una piccola centrale elettrica. Per collegare Monte Festa a valle viene scavata sulle fiancate occidentali della montagna una carrareccia che porta verso sud, verso l’interno del Friuli. Viene anche costruita una teleferica collegata con Amaro, un paese a valle sul versante carnico, in un settore che in caso di invasione cadrebbe sotto controllo austro-ungarico.
Quando l’Italia entra in guerra, il 24 maggio 1915, la fortezza non è stata ancora completata. Come guarnigione le viene destinata una ventina di soldati della Territoriale reclutati nella zona, e che probabilmente ringraziano tutti i Santi per la loro assegnazione mentre dal Monte Festa osservano ciò che sta accadendo sulle Alpi Carniche e Giulie. Certamente insieme a loro guardano inorriditi le montagne in fiamme, ascoltano il terribile fragore delle detonazioni delle artiglierie e delle mitragliatrici. A volte il vento porta loro le urla di battaglia dei due eserciti “SAVOIA!” e “HURRAH!” mentre vanno incontro alla morte.
Per due anni la guarnigione assiste impotente e sconvolta all’orrore della guerra sulle montagne. Dal Festa non è difficile scorgere la cima dello Jof di Miezegnot, poche decine di chilometri a nord est, dove nel luglio 1916 decine di alpini e schutzen restano uccisi in un assurdo attacco frontale alle trincee austriache. O il Freikofel, il Pal Grande e il Pal Piccolo, sulle Alpi Carniche, dove alpini, fanti e finanzieri da una parte e jaeger e schutzen dall’altra muoiono per conquistare e difendere un palmo di terra.
O il Monte Canin, il Monte Zermula o le montagne più lontane come il Monte Rombon, il Monte Nero o decine di altre montagne, simbolo di eroismo e di morte, di inutile sacrificio e di disperato coraggio. I territoriali assistono al traffico delle ambulanze verso valle e tra i feriti spesso riconoscono dei compaesani ai quali chiedono notizie di parenti e amici
“Bepi?” “Lu han copât tal Miezegnot” “
Mario?” “A l’ha pjerdut lis gjambis par une granade tal Mont Neri”
“Zuan?” “Muart tal Freikofel”.
E’ una liturgia del dolore, alla quale i territoriali che attendono con ansia e timore il passaggio delle carovane dei feriti, dirette alla Stazione di Carnia dove saliranno sulle tradotte che li porteranno verso gli ospedali militari, non riescono a sottrarsi.
La routine della guarnigione viene però interrotta dalla disfatta di Caporetto. Nella notte del 23 ottobre 1917 le truppe austroungariche e tedesche sfondano nella valle dell’Isonzo. E’ un disastro. L’intero nostro fronte orientale crolla e a catena anche gli altri fronti, come quello della Carnia, al quale appartiene Monte Festa che a questo punto, completato o meno, entra nella Storia.
Il Comando di Artiglieria del XII Corpo d’Armata comprende che per permettere una ritirata sicura verso il Piave alle nostre truppe è essenziale che il Monte Festa rimanga il più possibile in mani italiane e a questo scopo nomina quale nuovo comandante della fortezza il capitano di complemento Riccardo Noel Winderling.
E’ la migliore scelta che i nostri comandi potessero fare. Winderling, milanese discendente di un’antica famiglia di origine germanica che dopo l’Unità ha scelto di restare in Italia, giovane volontario di guerra ed ingegnere nella vita civile, è un ufficiale che ha dato ottima prova di sé al comando della 262^ Batteria di Artiglieria d’Assedio al Pal Piccolo, combattendo accanto ai suoi uomini nei terrificanti duelli tra cannoni sulle montagne della Carnia e venendo più volte decorato. Conosce il territorio, conosce la battaglia, la battaglia e soprattutto rispetta i propri uomini che a lui hanno affidato la vita.
Gli ordini che riceve sono estremamente chiari, come gli scriverà il 27 ottobre il generale Sacchero,comandante l’artiglieria del XII Corpo d’Armata
“…il forte di Monte Festa dev’essere messo subito in istato di efficienza : resistere se attaccato…” concludendo il messaggio “Sono persuaso che Ella pienamente conscia dei doveri che dalla autorità derivano, saprà a tali prescrizioni uniformare la sua condotta”. Nonostante il militarese, le parole del generale Sacchero sono immediatamente comprensibili: le poche decine di soldati della fortezza sono destinate a sacrificarsi perché centinaia di migliaia di soldati e civili si salvino. Winderling risponde con un messaggio solo apparentemente burocratico “Perfettamente conscio dei miei doveri assumo tutte le responsabilità del caso.”. Sa bene infatti che è improbabile che riesca a scendere vivo dal Monte Festa.
Il giovane capitano raggiunge la fortezza il 26 ottobre, mentre il ritiro delle nostre truppe è già in atto e quello che vede lo lascia orripilato. Nonostante il presidio sia stato rafforzato dall’arrivo pochi giorni prima di circa 120 soldati di artiglieria dell’VIII Reggimento provenienti dal forte di Osoppo e di un’altra trentina di militari poco o nulla è stato approntato per la sua difesa.
Monte Festa non è stato concepito per la prima linea, ma come appoggio a distanza delle nostre truppe. Per questo non è stato provvisto dei più elementari sistemi di difesa, come filo spinato, trincee e mine. Quanto al munizionamento è un disastro. Durante il conflitto l’esercito ha pescato a piene mani dalle riserve di Monte Festa ed ora il forte si ritrova con poche migliaia di proiettili. Anche l’addestramento della guarnigione non è dei migliori se per i successivi quattro giorni Winderling è costretto a fare un corso intensivo all’uso delle artiglierie in dotazione. Winderling chiede rinforzi e inizia a fare arrivare su Monte Festa altri mille proiettili attraverso la teleferica collegata al paese di Amaro. Inizia quindi a preparare i dati di tiro sugli obiettivi più importanti per preparare i propri cannoni a colpire il nemico e rallentarne l’avanzata allo scopo di proteggere le truppe ed i civili che stanno per ritirarsi verso valle.
In quei tragici giorni dell’ottobre- novembre 1917 i nonni di chi scrive erano ancora bambini che vivevano in due paesi poco più a sud del Festa, a ridosso del fiume Tagliamento, e decenni dopo nei loro racconti riviveva il terrore di allora. I genitori che caricavano i bambini e poche masserizie sui carri trainati da buoi e muli, cercando scampo verso i paesi al di là delle probabili linee dell’avanzata austro-tedesca. I saccheggi da parte delle truppe nemiche e dagli stessi soldati italiani sbandati e le notizie sulle violenze carnali subite dalle donne rimaste nei paesi e nei villaggi caduti in mano nemica bastavano per terrorizzare chiunque. Come i miei nonni ed i loro genitori, centinaia di migliaia di civili cercarono scampo prima oltre il fiume Tagliamento e poi oltre il Piave, ingrossato dalle piene di quei giorni, accalcandosi sulle rive e ammassandosi sui ponti. Solo dal Friuli fuggirono 130.000 persone, il 21 % della popolazione di allora. Il numero di quanti di costoro morirono non è noto con certezza, ma le testimonianze dei sopravvissuti ed i documenti ufficiali parlano di decine di cadaveri di vecchi e di bambini morti di malattia e di stenti abbandonati sulle rive del fiume, di centinaia di profughi uccisi negli scontri ravvicinati tra truppe italiane e austro-tedesche, di numerosi civili uccisi per avere cercato di impedire saccheggi e stupri, di donne assassinate per avere resistito alla violenza sessuale.
Il numero delle vittime tra i profughi e la popolazione civile non si conoscerà mai, ma certo fu elevatissimo.
Il mattino del 30 ottobre, mentre la nebbia copre le valli del Tagliamento e del Fella, le nostre truppe fanno esplodere i ponti a Stazione di Carnia e Tolmezzo, per rallentare l’avanzata nemica.
Quando è certo che nessun soldato italiano sia rimasto oltre i due ponti Winderling, sulla base dei dati di tiro precedentemente studiati, ordina di aprire il fuoco. Sono le 10,50 del mattino.
Nei giorni successivi, con il miglioramento delle condizioni atmosferiche, migliora anche la precisione delle artiglierie del monte Festa, che bersagliano le posizioni della X Armata Austro Ungarica, impedendole di prendere in trappola la 26^, 36^ e 63^ Divisioni italiane ed i civili che cercano scampo. Senza gli uomini di Winderling il fronte settentrionale italiano sarebbe perduto e con esso buona parte dell’esercito che sta ripiegando verso il nuovo fronte del Piave. Senza Monte Festa la X^ Armata e le altre unità austriache e tedesche potrebbero aprirsi la strada in Friuli spazzando via le demoralizzate unità italiane in ritirata con conseguenze inimmaginabili.
Winderling continua a guidare il tiro, bloccando la X^ Armata per interi giorni. Il 1° novembre perde uno dei suoi due osservatori strategici sulla Carnia, conquistato dal nemico, ma i suoi cannoni massacrano una colonna austriaca diretta verso Tolmezzo. Il giorno successivo le batterie del Festa distruggono le installazioni con le quali gli austroungarici stanno tentando di ricostruire il ponte sul Fella. Le batterie del Monte Festa sono micidiali ed impediscono di fatto agli austriaci di dilagare verso sud, mentre la 26^, 36^ e 63^ divisione ripiegano tra il 3 e il 4 novembre. Prima del ritiro, per rafforzare la guarnigione della fortezza, il XII corpo invia 25 fanti e due tenenti di artiglieria. E’ la risposta dei comandi alle continue e disperate richieste di rinforzi da parte del capitano Winderling. Più che un rinforzo è quasi un insulto.
Il 3 gli austriaci sfondano sul Tagliamento, isolando il Festa, ma la guarnigione continua a resistere ed a colpire il nemico con le proprie batterie per proteggere la ritirata della 63^ Divisione, conclusa il giorno successivo, anche se ora è la stessa fortezza a subire il bombardamento delle artiglierie nemiche, appostate dietro al monte Somp Pave, pochi chilometri più a nord. Ora Winderling ed i suoi uomini sono soli.
Nella notte del 5 novembre gli austriaci tentano il primo assalto alla fortezza, che viene respinto dai soldati italiani. Un nuovo assalto scatta nella mattinata del 6 novembre. Winderling sposta in continuazione lungo il perimetro delle mura i soldati provvisti di fucile e dell’unica mitragliatrice della fortezza, per proteggere i punti nevralgici e non far intuire al nemico l’esiguità del presidio. Ma la mitragliatrice è un catenaccio e si inceppa dopo poco, costringendo gli uomini di Winderling a respingere il nemico scaraventando su di lui le grandi rocce della montagna.
Gli austriaci si ritirano, ma Winderling sa che con la scarsità di truppe ed armi a propria disposizione non potrà resistere a lungo. Paradossalmente saranno gli stessi nemici ad aiutarlo a prendere la decisione risolutiva.
Poche ore dopo la fine del secondo attacco un ufficiale delle truppe d’assalto austriache e due soldati con la bandiera bianca si presentano per parlamentare. L’ufficiale nemico presenta al capitano Winderling un messaggio tanto laconico quanto sprezzante da parte del proprio comando “Al Regio Presidio Italiano di Monte Festa. Siete circondato da ogni parte ed invitato ad arrendervi. Il nostro parlamentare è atteso per le ore 11.”. Winderling decide di prendere tempo. Per dovere di “ospitalità” e per far credere che le riserve di viveri siano abbondanti offre ai parlamentari nemici un’ abbondante colazione, quindi spiega ai propri ufficiali la situazione e la propria intenzione di non arrendersi
” Naturalmente la risposta non può essere che negativa; ma occorre poter disporre di qualche ora per consumare le ultime munizioni ed inutilizzare le opere prima che cadano in mano al nemico, che certamente risponderà al nostro rifiuto con un attacco a fondo.”
Gli ufficiali concordano e al parlamentare nemico viene consegnata una busta chiusa indirizzata al comando della X^ Armata e contenente la risposta di Winderling all’intimazione di resa
“Ho l’onore di rispondere negativamente”
quando l’ufficiale austriaco lascia la fortezza, Winderling comunica ai propri uomini la sua intenzione di abbandonare il forte durante la notte dopo avere esaurito le munizioni e sabotato le artiglierie “Dopodichè sarà tentata la fuoriuscita, nella speranza di ricongiungerci al nostro esercito in ritirata.”
All’interno della fortezza, assistiti dal tenente medico Domenico Del Duca, rimarranno le decine di soldati rimasti feriti durante i bombardamenti e i due assalti, gli ammalati e altri soldati nei quali, nelle descrizioni del tempo, non è difficile riconoscere le vittime di quello che oggi viene chiamato stress post-traumatico. L’ultimo bombardamento di Forte Monte Festa inizia poco dopo. Per le truppe austroungariche attestate nella vallata sottostante è un autentico inferno di fuoco e di acciaio e nel pomeriggio uno degli ultimi proiettili colpisce il deposito di munizioni della X^ Armata a Tolmezzo, facendolo esplodere. Nel frattempo all’interno del Monte Festa vengono distrutti i documenti e preparate le cariche che faranno esplodere i cannoni della fortezza.
Alle 18 vengono distrutte le batterie dei pezzi da 75 e quindi i cannoni da 149 che saltano in aria nel corso di otto esplosioni simultanee.
Immediatamente dopo, una volta salutato il tenente medico Del Duca ed i suoi feriti, il capitano Winderling lascia il forte insieme ad un centinaio di soldati. Mi piace pensare che prima di uscire abbia dato un ultimo sguardo di commozione alla Fortezza che aveva difeso per oltre una settimana.
Winderling ed i suoi uomini cercano di infiltrarsi attraverso le linee nemiche ma il controllo degli austroungarici è troppo stretto. La maggior parte degli uomini viene catturata e solo il capitano, un altro ufficiale, un maresciallo e tre soldati riescono a sfuggire alla cattura iniziando una odissea di tre settimane attraverso le Prealpi friulane e venete per raggiungere le linee italiane.
Vivono della generosità dei montanari locali, che forniscono loro cibo, abiti, informazioni ed ospitalità, marciando sotto le intemperie e cercando di sfuggire alle truppe austriache e tedesche e il 27 novembre, stanchi esausti e laceri, arrivano a ridosso della linea del fronte del Grappa. Per altre tre settimane cercano di raggiungere le nostre posizioni, ma vengono catturati dagli austroungarici che non riescono a credere che quegli straccioni laceri sono tutto ciò che rimane del presidio di Monte Festa, anzi vorrebbero fucilarli per spionaggio. Fortunatamente Winderling chiede ed ottiene di farsi riconoscere dall’ufficiale delle truppe d’assalto austriache che era salito a parlamentare con lui sul Festa. Una volta riconosciuto come ufficiale italiano per Winderling insorge un altro problema: con quel cognome inequivocabilmente germanico e con la sua perfetta padronanza del tedesco qualche idiota dei servizi segreti militari austriaci lo scambia per un trentino o un giuliano che ha scelto di arruolarsi con l’esercito italiano. La sorte del trentino Cesare Battisti e degli istriani Fabio Filzi e Nazario Sauro, sudditi austroungarici di lingua italiana che hanno scelto l’Italia e che una volta catturati sono stati impiccati per alto tradimento per ordine di Vienna, sono un monito da non sottovalutare. Winderling subisce numerosi interrogatori, viene trasferito prima a Trento poi nel Sud Tirolo, da dove cerca di fuggire. Catturato viene trasferito in un duro campo di concentramento in Boemia, dal quale viene liberato nell’ottobre 1918, raggiungendo Trieste il 7 novembre 1918, ad un anno esatto dalla sortita da Monte Festa.
Negli anni successivi Riccardo Noel Winderling verrà smobilitato, dopo avere ricevuto una meritata medaglia d’Argento al Valor Militare (forse per il Ministro della Guerra non era sembrato il caso di decorare d’Oro un Comandante che alla testa di poche centinaia di uomini aveva bloccato una intera armata nemica mentre tutti gli altri scappavano) e il grado di tenente colonnello della riserva. Nella vita civile Winderling riprende il suo lavoro di ingegnere civile e nel corso degli anni successivi fonderà tre scuole private in Lombardia ed in Liguria e addirittura una rivista “Pedagogia Familiare” , venendo anche premiato come benemerito della cultura e della scuola.
L’impresa del Festa viene celebrata negli anni ’20 e ’40 da una serie di articoli su importanti riviste ed un paio di libri di tenore patriottico. Winderling rimane in contatto con i suoi artiglieri, riunendosi con loro sul monte Festa per la prima volta nel 1925, in occasione dell’apposizione di una lapide a ricordo della loro impresa e per l’ultima volta nel 1949, alla fine di una guerra ancora più disastrosa della precedente.
Il tenente colonnello della riserva Riccardo Noel Winderling chiuse per sempre gli occhi nel 1967, cinquant’anni dopo la difesa della Fortezza.
Mi piace pensare che ne abbia ripreso il comando.
Oggi.
E’ difficile dire quanto la difesa di Monte Festa abbia cambiato la Storia.
Certo delle tre divisioni italiane ritiratesi dalla Carnia due vennero catturate pochi giorni dopo in quella che oggi è la provincia di Pordenone, ma è indubbio che senza la spina nel fianco di Monte Festa la X^ Armata austroungarica si sarebbe fatta strada in Friuli almeno tre-quattro giorni prima di quanto accadde in realtà, e insieme alle altre unità austriache e tedesche avrebbe intrappolato le deboli e demoralizzate truppe italiane in una sacca o semplicemente le avrebbe spazzate via, come briciole da una tovaglia. Nella migliore delle ipotesi gli italiani sarebbero stati costretti a ritirarsi ben oltre il Piave, forse fino all’Adige o addirittura oltre sino ai fiumi Mincio e Po come avevano proposto i nostri alleati anglo-francesi in una conferenza interalleata in quello stesso novembre 1917. Nella peggiore l’Italia sarebbe stata costretta ad una resa umiliante, ad una pace “cartaginese” nella quale non ci sarebbe stata alcuna pietà per i vinti.
Quei pochi giorni furono una boccata d’ossigeno per i nostri soldati e furono un’ancora di salvezza per i profughi che cercavano scampo oltre il Tagliamento, i quali, nel caso del crollo del fronte settentrionale si sarebbero trovati tra il fuoco incrociato dei due eserciti finendo massacrati nel piccolo Armageddon che si sarebbe scatenato nella pianura friulana.
Centinaia di migliaia di uomini e donne e forse addirittura la Nazione sopravvissero grazie al capitano Riccardo Winderling ed ai suoi Soldati.
Ed è un debito che un Paese serio dovrebbe onorare.
Fonti:
“Di qua e di là dal Piave” di Mario Bernardi, Mursia 1989
“Caporetto e l’invasione del Friuli” di G.G. Corbanese, Del Bianco Editore 2003
siti internet
http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=47514&ricerca_inizio=0&ricerca_query=&ricerca_ordine=&ricerca_libera=
http://www.cimeetrincee.it/festa.htm
http://www.fortificazioni.net/Udine/FESTA.htm
http://www.itinerarigrandeguerra.it/Forte-Di-monte-Festa
Mi commuove l’eroismo di tanti soldati caduti per la patria. La storia del monte festa è anche la mia perché li mio nonno Del Duca Domenico è stato uno tra i tanti eroi.