La via sbagliata
LA VIA SBAGLIATA
di Gianmarco Calore
Milano, 28 giugno 2002.
E’ una delle prime, lunghe, appiccicose giornate estive meneghine. Una di quelle giornate in cui ti alzi dal letto già stanco per l’afa che ti ha tormentato durante la notte e che – con ogni probabilità – continuerà a torturarti per tutto il giorno.
Ci sono due uomini che affrontano gli ennesimi impegni giornalieri: sono come due alpinisti che iniziano ad arrampicare lungo due vie parallele ma separate tra loro. Entrambi hanno pianificato il percorso, stabilendo itinerario, soste e punti di sicurezza; entrambi sono determinati a portare a termine la loro impresa, perchè lassù, in vetta, l’aria è limpida, fresca e pulita.
Il primo uomo è un funzionario di Polizia del Commissariato Porta Ticinese: si chiama Paolo Scrofani, è un giovane e brillante vice questore aggiunto che svolge il suo lavoro con impegno, dedizione e dinamismo. Si è accaparrato le simpatie dei suoi collaboratori, ai quali è sufficiente un suo sguardo per capire cosa devono fare e che non esitano a sacrificare la loro vita personale e familiare per le improvvise missioni contro una criminalità sempre più arrogante.
L’altro è un comune cittadino che nella sua vita non ha fatto altro che lavorare come un mulo. Prima per sé, poi per la famiglia, poi per pagare il mutuo per quell’appartamento al quarto piano di un anonimo condominio milanese che lui vedeva come il traguardo di tutti gli sforzi della sua esistenza. Il suo nome non ha importanza, lo chiameremo Mario per semplice comodità. Anche lui quella mattina inizia la sua giornata, la sua scalata verso la vetta.
Paolo quel giorno non è nemmeno in servizio: tuttavia arriva ugualmente in Commissariato di buon’ora, almeno per esaminare gli atti di polizia giudiziaria redatti dai suoi uomini la sera e la notte precedente. Poi, il solito caffè al bar all’angolo in compagnia dei collaboratori più stretti; infine, la giornata libera da dedicare a se stesso, alla moglie, anche lei giovane funzionario di Polizia, e alla figlia di 12 anni. La sua arrampicata inizia in dolcezza, con passaggi semplici in cui gli appigli si trovano numerosi. Si muove agile tra crode, spuntoni e fessure in una roccia già tante altre volte affrontata.
Anche Mario comincia la sua arrampicata. Che però è subito irta di insidie: la prima gli si era presentata in realtà alcune settimane prima tramite una raccomandata del tribunale di Milano. Una di quelle anonime buste di colore verde con un’allarmante dicitura: “Atti giudiziari”. Al suo interno poche righe che per lui significano la fine dei suoi sogni: è un’intimazione di sfratto. “Si comunica alla S.V. che a seguito di sentenza n°… del Tribunale Civile di Milano, l’appartamento sito in via … dovrà essere lasciato nella piena disponibilità dei legittimi proprietari entro il 28 giugno p.v.. Il mancato adempimento a tale intimazione comporterà l’esecuzione forzata del presente provvedimento”. La vista gli si era appannata, il mondo aveva cominciato a girargli intorno vorticosamente e inarrestabilmente. Mario aveva imparato a memoria ogni riga, ogni parola, ogni virgola di quella maledetta lettera. Il suo contenuto aveva preso a rimbombargli in testa togliendogli il sonno, l’appetito, la voglia di vivere. Qualche sera prima la televisione aveva proiettato uno di quei vecchi film che riempiono il tubo catodico durante il periodo estivo, “Sansone e Dalila”. Mario aveva vissuto sulla propria pelle la scena – clou, quando Sansone abbatte le colonne del tempio pronunciando la celeberrima frase: “Muoia Sansone con tutti i Filistei!”.
Ecco la soluzione! Chi sono questi moderni Filistei che vogliono cacciarlo dal suo tempio, lui, novello Sansone, che si è spaccato la schiena per crearsi un normale tran tran quotidiano? E la soluzione è semplice: ci sono quelle due pistole, regolarmente denunciate, dimenticate in una mensola dell’armadio della camera da letto. Che provino a cacciarlo, che vengano! Lui è già pronto ad affrontarli…. Ah, che bello! L’arrampicata si fa per lui più facile, nella consapevolezza che gli appigli diventeranno sempre più piccoli e rari e che presto dovrà affrontare quella parete a strapiombo liscia come il marmo….
Il 27 giugno – la vigilia dell’Apocalisse – Mario scende dal bottegaio sotto casa per fare due soldi di spesa. Si trattiene a chiacchierare con lui che lo ha sempre trattato bene facendogli credito quando non aveva più i soldi neanche per un panino. In un impeto di generosità e di affetto, Mario gli dice: “Domani tieni chiusa la bottega, che qui succederà un casino…” Il negoziante prende quella frase per vaneggiamenti di una persona visibilmente esaurita. Al momento non dà a quelle parole il peso e l’importanza che avrebbero meritato.
28 giugno 2002, ore 9,30.
Puntualissimi si presentano all’appartamento gli altri comprimari di questa tragedia annunciata: l’ufficiale giudiziario, il fabbro, la volante della Polizia, il proprietario dell’appartamento. I colleghi capiscono subito che non si tratterà di eseguire l’ennesimo sfratto dove di solito si assiste al massimo a qualche strepito dell’inquilino. Appena suonano il campanello, qualificandosi, Mario li apostrofa con frasi sconnesse e minacciose. Come a completare il quadretto, una finestra dell’appartamento si apre e dall’interno vengono esplosi in strada alcuni colpi di pistola. Mario ha passato la parete a strapiombo: indietro è ora impossibile tornare….
Scatta l’allarme: vengono fatte convergere alcune volanti, i Vigili del Fuoco, un’ambulanza. La strada viene chiusa al traffico. Sul posto – immediatamente allertato dai uoi uomini – arriva anche Paolo. Non è in servizio, non è manco la sua zona di competenza ma non si tira indietro. Pantaloni di tela azzurri, camicia kaki e una giacca in filo di scozia a coprire la fondina con la pistola. Ma Paolo non è uno avvezzo all’uso delle armi. La sua lunga esperienza in Polizia gli ha insegnato che si ottiene molto di più con le parole, specie quando dall’altra parte hai come interlocutore un pazzo. Non per niente, ha frequentato un corso di negoziatore che lo ha abilitato ufficialmente a trattare con casi di questo tipo, con persone che – come Mario – non possono più tornare indietro.
Quella mattina, l’arrampicata di Paolo si fa improvvisamente più “tosta” , avvicinandosi alla via percorsa da Mario. Idealmente Paolo lo vede, nota un alpinista in vistosa difficoltà a pochi metri da lui. Pochi metri che – per chi fa roccia – costituiscono un abisso. Professionalmente Paolo fa isolare l’appartamento: via la luce, via il gas. Ma non ha fatto i conti con la scaltrezza di Mario che nelle ultime settimane aveva acquistato alcune bombole portatili…. “Muoia Sansone con tutti i Filistei!”….
Iniziano ore di snervanti trattative. Paolo riesce ad instaurare un dialogo calmo, pacifico, amichevole con Mario. Il primo sul pianerottolo; il secondo barricato dietro la pesante porta blindata. Il colloquio tra i due passa a fasi alterne dalla calma all’agitazione, dall’ilarità a improvvisi scatti d’ira di Mario che su una cosa è intransigente: lui da quell’appartamento non se ne andrà mai. Paolo non demorde. Lui è un Uomo dello Stato e il suo dovere è quello di riportare Mario sulla via giusta, tirandolo fuori dal baratro in cui rischia di precipitare. Con calma, serenità e metodo continua a ripetergli come stanno le cose, dicendogli che una soluzione c’è, che di case ce ne sono altre, che la legge va ripettata…. Gli lancia insomma a più riprese quella corda che lo avrebbe tratto in salvo.
Poi, improvvisamente, proprio quando sembrava che le cose si stessero mettendo al meglio, verso le 13 scoppia l’inferno. Mario aveva saturato l’appartamento con il gas delle bombole. Non si saprà mai se l’esplosione che ne scaturisce sia stata il frutto di un incidente di percorso, una scintilla, oppure se sia stata voluta intenzionalmente. La porta blindata dietro cui era seduto Paolo viene scardinata dalla violenza dell’urto e investe con i suoi 2 quintali il giovane Funzionario. Un Vigile del Fuoco che era al suo fianco si salva unicamente perchè viene riparato dal muro. L’inferno lambisce con le sue fiamme altre 22 persone che a vario titolo verranno ricoverate in ospedale. Quando i sanitari raggiungono Paolo, egli respira ancora. Scatta una corsa contro il tempo, contro la vecchia signora con la falce in mano che però arriva prima di tutti. Paolo muore in ospedale il giorno dopo senza avere più ripreso conoscenza. La sua arrampicata viene interrotta dal gesto di disinteressato altruismo che ogni alpinista attua verso un altro in difficoltà. La corda si spezza ed è lui a precipitare nel baratro. Ma la sua generosità va oltre ogni aspettativa: vengono donati i suoi organi, perchè altra gente, altri “alpinisti” possano continuare a vivere e a sperare.
Ecco cosa è stata Milano il 28 giugno 2002. Ecco il ricordo indelebile che ci ha lasciato la figura di questo grande Funzionario di Polizia che non ha esitato a sacrificarsi sebbene avesse potuto delegare ad altri quell’ingrato compito.
E allora – come dicono i paracadutisti e come cantano i rocciatori al termine delle arrampicate, stringendosi la mano in vetta dove l’aria è più fresca e pulita – CIELI BLU, DOTTORE!!
Per la Redazione Cadutipolizia: Gianmarco Calore
(Voglio ringraziare i Colleghi presenti ai fatti per le testimonianze fornite).