L’UOMO NELLA FOTOGRAFIA (l’eccidio di Vergarolla, Pola 18 agosto 1946)
QUANDO
La prima estate di pace rischia di portare il mondo ad un terzo conflitto mondiale. Quella che il 5 marzo ha pronunciato Winston Churchill ( “Da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico, una cortina di ferro è calata attraverso il continente” ) è solo la certificazione della nascita della Guerra Fredda, conclusasi soltanto nel 1989 ma in quell’estate del 1946 il conflitto minaccia di diventare bollente. La Grecia è sconvolta da una feroce guerra civile, nell’Est la guerriglia anticomunista continua feroce in Polonia, in Jugoslavia e in molte repubbliche dell’URSS.
Tra Tarvisio e Pola, su quella che è di fatto la nuova frontiera della nuova Repubblica italiana e dei territori sotto il controllo delle forze di occupazione angloamericane gli incidenti di frontiera tra i soldati alleati e in misura minore quelli italiani da una parte e i militari jugoslavi dall’altra sono di fatto battaglie di una guerra non dichiarata, la cui storia non è ancora stata scritta.
Nello stesso periodo i servizi segreti italiani ed i vertici dell’esercito appoggiano i movimenti che cercano di favorire una insurrezione italiana in Istria, mentre contemporaneamente De Gasperi cerca di avviare delle trattative segrete con la Jugoslavia, nel tentativo di trovare una soluzione diplomatica al problema della Venezia Giulia al di là dei buoni uffici delle Grandi Potenze.
Chi pensa agli italiani di allora come deboli e remissivi agli ordini dei vincitori si sbaglia: in realtà Roma, alle prese con le brame dei francesi sulla Valle d’Aosta e sul Piemonte Occidentale, con l’indipendentismo siciliano e altoatesino, gli appetiti jugoslavi sulla Venezia Giulia, e alla guerra civile strisciante in parti dell’Italia Centro Settentrionale, cerca disperatamente e con tutti i mezzi di salvare il salvabile dalla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale. Anche questa è una storia che non è mai stata raccontata e che meriterebbe di essere conosciuta.
Forse ci potrebbero essere buone prospettive, sia da parte politica che militare, poiché si parla di preparativi di insurrezione militare italiana in Istria sino al gennaio del 1947 mentre nell’estate del 1946, la nostra diplomazia si muove, con il presidente del consiglio Alcide De Gasperi in testa il quale prima in un discorso all’Assemblea Costituente, poi assicurandosi alla conferenza di pace di Parigi l’appoggio diplomatico di alcune importanti Nazioni “minori” come il Brasile ed il Sudafrica, ed infine in una intervista alla United Press traccia le linee delle mosse italiane alla conferenza di pace di Parigi, rivelando i tentativi di contatti avviati in Polonia con gli jugoslavi. C’è un passaggio molto interessante in cui De Gasperi dice esplicitamente “Purtroppo in questa che deve essere la Conferenza della Pace sono sempre più evidenti i contrasti tra il blocco occidentale ed il blocco orientale; mentre confermo la politica di neutralità dell’Italia tra i due blocchi contrapposti.”
L’intervista è del 17 agosto 1946. Il giorno dopo una terrificante esplosione dilania oltre sessanta innocenti sulla spiaggia di Vergarolla, a Pola.
COME
Nella fotografia l’uomo corre.
Lo storico Gaetano Dato a pagina 133 del suo essenziale libro “Vergarolla, 18 agosto 1946” dedicato alla vicenda prudentemente definisce la fotografia come “presunta immagine” poiché solo un giornale, nei giorni successivi, la pubblica facendo riferimento alla strage avvenuta sulla spiaggia polese di Vergarolla.
Nella fotografia l’uomo corre su una spiaggia di ciottoli e ghiaia in un giorno d’estate.
Anche se il viso guarda nella direzione opposta a chi ha scattato l’immagine si intuisce che l’uomo è giovane, forse nemmeno trentenne.
Indossa una canottiera bianca, pantaloncini corti e scuri ed ai piedi calza un paio di sandali in cuoio, di quelli che andavano di moda fino agli anni ‘50, capi d’abbigliamento essenziali, l’ “uniforme” del bagnante di poche pretese in quegli anni perché nell’agosto del 1946 non c’è denaro da buttare in inutili fronzoli.
Non è difficile immaginare chi sia l’uomo. Come tutti gli italiani di allora ha subito la guerra. Forse, come la maggior parte dei suoi coetanei, ha combattuto al fronte, magari ha affrontato la prigionia. In quella prima vera estate di pace, quel 18 agosto 1946, ha raggiunto la spiaggia per trascorrere una bella giornata insieme alla famiglia. Una bella nuotata insieme alla moglie e alla figlioletta e poi, dopo un pranzo leggero sulla spiaggia, la piacevole distrazione di assistere alle finali di una gara di nuoto in programma quel giorno. Cose semplici, normali, che ha sognato per cinque lunghi anni di guerra e che dopo le 14 e 15 del 18 agosto 1946 ricorderà per sempre come l’ultimo momento felice della sua vita.
Perché nella foto l’uomo sta urlando mentre corre sui ciottoli della spiaggia, rivolto a qualcuno (un medico, un milite della Croce Rossa, un agente della Polizia Civile, un soldato alleato) non inquadrato dalla macchina fotografica. Perché non puoi non urlare quando stringi tra le braccia i resti orrendamente straziati di quella che sino a pochi istanti prima era tua figlia.
DOVE
Il 18 agosto 1946 a Vergarolla è in programma la finale della Coppa Scarioni di nuoto, organizzata dal circolo cittadino Pietas Julia, un’unione sportiva e culturale appartenente all’etnia italiana, quella che ancora per pochi mesi è maggioritaria in Istria. Gli spettatori sono centinaia, uomini, donne e bambini, per la maggior parte appartenenti alla comunità italiana, ma anche qualche militare Alleato fuori servizio, perché in quell’estate 1946 Pola, anche se ancora formalmente italiana, è sottoposta all’autorità militare della Gran Bretagna, che controlla il Territorio Libero di Trieste, compresa l’enclave di Pola, una isola italiana in un’Istria ormai completamente sotto controllo dell’Esercito Popolare Jugoslavo.
Vergarolla si trova nei pressi di una base navale già appartenente alla Marina austroungarica, poi della Regia Marina italiana e, dopo l’8 settembre 1943, alla Kriegsmarine tedesca e alla Marina Repubblicana della RSI. Dopo la fine della guerra l’arsenale della base è stato trasportato all’esterno della base, su spiagge come Vergarolla dove viene disattivato dagli artificieri i quali si sono limitati a togliere le spolette dalle bombe, lasciandole ammassate sul posto. Inizialmente sembra che gli ordigni dovranno andare come bottino di guerra alla Jugoslavenska Ratna Mornarica, la Marina della Jugoslavia di Tito, la quale però in seguito a polemiche, incomprensioni e ritardi con gli Alleati non le ritirerà mai.
Anche a Vergarolla accade così e sulla spiaggia rimangono accumulate circa una ventina di bombe antisommergibile di fabbricazione tedesca, tre testate di siluro, quattro cariche di tritolo e cinque fumogeni ritenute ormai innocue. Dopo più di un anno dalla fine della guerra quelle bombe fanno parte del paesaggio, alla stregua di un insignificante ammasso di rottami.
Alle 14,15 del 18 agosto 1946 quell’ammasso esplode. Alcuni secondi prima una decina di spettatori sente prima un rumore simile a un colpo di pistola. Uno di loro, dopo il rumore avverte un fortissimo spostamento d’aria seguito da una decina di esplosioni in rapida successione. Un testimone si trova su una barca a duecento metri dalla riva, in posizione quindi privilegiata, e vede prima una larga scia di fumo biancastro correre dal mare verso le bombe, quindi lo sparo udito dagli altri superstiti e infine le esplosioni. Un altro testimone che sta nuotando a una quarantina di metri dalla riva vede prima una luce brillante tra il mare e le bombe e un uomo fuggire terrorizzato. Subito dopo il testimone sente almeno quattro grandi esplosioni.
Lo scoppio è così violento da provocare un violento incendio nella vicina pineta e addirittura una scossa tellurica che viene avvertita nel centro di Pola appena un istante prima della vera e propria detonazione, uno scuotimento così forte da infrangere i vetri delle finestre di diverse abitazioni.
A Vergarolla rimangono i resti martoriati di oltre sessanta persone. L’elenco delle vittime (63 secondo alcuni autori, 65 secondo altri) è sconvolgente. Quindici morti sono bambini di meno di 10 anni. Sette hanno tra i 15 ed i 10 anni. Intere famiglie vengono decimate, come i Marchi, i Berdini, i Saccon, i Brandis, i Rocco, i Dinelli. Come la famiglia del dottor Micheletti, che nella strage perde i figli Renzo di 4 anni e Carlo, di 6, il fratello Alberto e la cognata Caterina, ma che rimane accanto ai feriti, curandoli ed assistendoli allo stremo delle proprie forze. Forse è verso di lui che corre l’uomo della foto urlando in preda all’angoscia ed al terrore, reggendo quella che è stata sua figlia.
COSA
Un’ ecatombe quindi, una strage orrenda. Ma che cosa è accaduto?
La Polizia Civile, la forza di pubblica sicurezza sottoposta al Governo militare alleato, inizia immediatamente le indagini che porta a quello che per i polesi è chiaro da subito: non è stato un incidente, come sancirà anche la corte militare d’inchiesta ma una strage intenzionale, diretta a massacrare più gente possibile.
Ma chi sono i responsabili? Alcuni superstiti dell’eccidio dicono di avere visto appena prima delle esplosioni un uomo vestito con un completo grigio di lana (in estate!) , che porta con sé una borsa o una scatola, accendere una fiamma nei pressi della pineta, ad una certa distanza dalle bombe. Non si tratterebbe della vera miccia, ma secondo gli investigatori della Polizia Civile, di un segnale ai veri attentatori, il via libera al massacro. La Sovrintendenza di Polizia di Pola cerca l’uomo, seguendo un paio di piste false : il primo sospettato non è presente in città da almeno due mesi mentre il secondo avrebbe un alibi a tutta prova. Altre piste si rivelano inconcludenti.
Una testimone, poi riconosciuta come una solita a spararle grosse, asserisce che un impiegato del Comune di Pola poche ore prima dell’attentato ha ricevuto una telefonata nel corso della quale questi è stato avvisato di non recarsi al mare perché sarebbe avvenuta una “disgrazia”. Altri testimoni assicurano di avere ascoltato dialoghi simili poco tempo prima della strage. C’è poi la storia della vecchia imbarcazione battente bandiera jugoslava che sarebbe stata vista nei pressi della spiaggia di Vergarolla al momento della strage e che poi si sarebbe scomparsa subito dopo.
Nel frattempo la città segue sconvolta le esequie delle vittime. Vi partecipano migliaia di persone, al di là di ogni ideologia politica, accomunati dal dolore. Probabilmente molti si rendono conto che quei funerali sono il simbolo della morte della Pola italiana.
Perché ormai Pola è perduta, se ne rendono conto in tanti, al di là delle illusioni. Il trattato di pace di Parigi è ormai prossimo e la maggior parte della nostra comunità è ormai pronta ad abbandonare la propria terra.
Le indagini continuano (anche se non in modo che si possa definire “febbrile”), mentre l’orologio della Storia si muove inesorabile.
Per gli investigatori è palese che per l’innesco siano state usate micce e spolette esplosive , le cosiddette “time pencil”, cioè matite a tempo, di fabbricazione britannica e che durante la guerra erano state copiosamente fornite ai partigiani sia in Italia che in Jugoslavia che le avevano usate in azioni di sabotaggio e che presentavano la caratteristica di permettere l’inserimento di una miccia, per consentire sia la fuga che il disinnesco dell’ordigno.
Le ipotesi sono che per fare detonare gli ordigni siano state usate due micce che abbiano dato l’innesco alle spolette e quindi alle cariche primarie, le quali sono esplose provocando il rumore simile a un colpo d’arma da fuoco udito da alcuni sopravvissuti e provocando la terribile detonazione finale.
Ma quanto ai responsabili il mistero è assoluto. Le indagini si arenano mentre Pola si avvicina al redde rationem del 10 febbraio 1947 e al trattato di pace di Parigi.
Rimangono i risarcimenti forniti dal Governo Militare Alleato ai familiari delle vittime e ai superstiti, cui vengono destinati i proverbiali “quattro soldi”, che molto probabilmente non saranno nemmeno mai stati ricevuti, dato che dopo l’esodo molti beneficiari si trovavano nei campi profughi o sparsi ai quattro angoli del mondo.
CHI
Ma rimane il mistero su mandanti ed esecutori. I giornali della comunità italiana, come il “Grido dell’Istria” che pubblica in prima pagina la foto dell’uomo che corre sulla spiaggia, accusano esplicitamente la Jugoslavia.
L’ipotesi sembrerebbe sensata. La ferocia della guerriglia balcanica durante il conflitto, le deportazioni e le fucilazioni dei prigionieri italiani dopo il maggio 1945 portano subito a sospettare che i responsabili dello spaventoso eccidio si trovino a Belgrado, come fa tuttora la diaspora istriana. Del resto le bombe di Vergarolla sono risultate di fatto “una spinta” per “agevolare” l’esodo degli italiani. Forse è interessante notare inoltre che la sera del 7 agosto 1946 un gruppo di partigiani anticomunisti italiani e croati, equipaggiato con armi forse fornite dai servizi segreti italiani, si è scontrato nei pressi di Pisino con militari jugoslavi. E’ l’unico episodio noto di una azione della guerriglia italiana in Istria, confermato anche da rapporti del nostro Stato Maggiore dell’Esercito.
Quale motivo migliore per un eccidio di tali proporzioni che quello di un violento messaggio all’Italia? E poi c’è anche la presenza della piccola imbarcazione battente bandiera jugoslava notata prima della strage dinanzi a Vergarolla e poi fuggita dopo l’attentato. Ma basta questo per accusare la Jugoslavia per l’eccidio? E’ possibile che Belgrado, che alla conferenza di Parigi aveva ottime prospettive di successo, come poi risultato, rischiasse tutto con una azione eclatante e criminale di tale livello? Quanto alla presenza del natante battente il tricolore blu, bianco e rosso e la stella rossa, visto dinanzi a Pola è plausibile che gli attentatori, se si tratta di comunisti jugoslavi, abbiano lasciato traccia della propria presenza sul luogo del delitto?
Può essere, come può trattarsi di una strage compiuta per decisione autonoma di alcuni esponenti locali del partito comunista jugoslavo o dell’OZNA, i servizi di Tito, senza alcun ordine esplicito o implicito di Belgrado, forse davvero convinti che con un orrore del genere gli italiani di Pola sarebbero stati costretti ad allontanarsi per sempre dalla loro terra o forse intenzionati a tagliare le gambe all’embrionale movimento di guerriglia italiano in Istria.
Ma ci sono altre ipotesi, ognuna più sconvolgente dell’altra.
Una di queste chiama in causa gli anticomunisti jugoslavi, segnalati come alleati della guerriglia italiana in Istria, desiderosi di fare esplodere un conflitto tra Alleati e Jugoslavia, per fare precipitare la crisi che in quel 1946 separa i due contendenti e ritornare quindi a Lubiana, Zagabria e Belgrado sotto la capace ala protettrice delle Potenze Occidentali. Una strage come quella di Vergarolla potrebbe essere stata quindi organizzata ed eseguita per creare un “casus belli”? non è impossibile. Secondo i rapporti dei servizi in quello stesso periodo oltre 20.000 esuli jugoslavi residenti nei campi profughi italiani si preparano a partecipare ad una controrivoluzione ormai prossima mentre altri 50.000 ribelli combattono le forze dell’EPLJ, l’esercito comunista, all’interno della Jugoslavia. Una strage come quella di Vergarolla potrebbe provocare la scintilla che scatenerà l’incendio e a compierlo sarebbero stati individui come gli ustascia croati o i cetnici serbi, responsabili di abominevoli massacri tra il 1941 ed il 1945 in Jugoslavia.
Analoga ipotesi si può fare per un attentato compiuto ad opera di gruppi neofascisti italiani o addirittura monarchici. Solo un’analisi frettolosa e viziata può farci escludere a priori una simile conclusione. Negli ultimi anni sono state avanzate inquietanti domande relative alle attività del neofascismo italiano nella seconda metà degli anni ’40 e sui suoi scopi. Pesanti sospetti sono stati avanzati ad esempio sulla presunta partecipazione di ex militari della RSI e più precisamente della X^ Mas alla strage di Portella della Ginestra ed in altri crimini del Dopoguerra. Si parla inoltre di progetti di golpe eversivi in quegli anni da parte dell’estrema destra e di elementi monarchici. Davanti a Vergarolla, inoltre, sino all’aprile 1945 sorgeva una base della X^ Mas e sicuramente molti dei suoi ex membri risiedevano ancora a Pola nel periodo dell’attentato. Anche qui, come escludere che vi sia stato qualcuno che abbia voluto far precipitare la crisi tra alleati e jugoslavi per permettere la riconquista della Venezia Giulia?
Su queste ipotesi ce n’è una ancora più inquietante, quella di un attentato sopra il quale si staglia l’aquila americana. In quegli anni gli Stati Uniti, emersi insieme all’URSS come vincitori assoluti dalla Seconda Guerra Mondiale, stanno scalzando dal trono il pluricentenario impero britannico e una strage come quella di Vergarolla avvenuta sotto il controllo del British Army potrebbe essere vista come una azione mirata a demolire il prestigio di Londra nell’Europa Meridionale. Qualcuno ha visto anche dietro l’omicidio del generale britannico Robert De Winton, comandante delle truppe alleate a Pola il 10 febbraio 1947 (il giorno della firma del trattato di pace di Parigi) la mano o quanto meno il disinteresse dei servizi USA. O forse la strage di Vergarolla, se perpetrata dietro input statunitense, è stata diretta verso il fronte interno italiano in funzione anticomunista, contando sulla fama delle forze armate e dei servizi segreti jugoslavi dopo l’occupazione della Venezia Giulia nel 1945. Ma si può anche ipotizzare un messaggio diretto al governo italiano, che in quei mesi cerca una difficile equidistanza tra i due blocchi. Ricordate le parole di De Gasperi nell’intervista alla United Press il giorno prima della strage?
“…mentre confermo la politica di neutralità dell’Italia tra i due blocchi contrapposti…”
dopo la divisione del mondo in due blocchi quelle parole e peggio ancora certe intenzioni potevano essere accettabili oppure c’era bisogno di “rimettere a posto” il governo italiano, con tutti i mezzi?
Quattro ipotesi, tutte con punti a favore e contro, ma che non avranno mai risposta.
PERCHE’
Come non ci sarà mai risposta alla domanda sul perché il governo di Roma non abbia “sfruttato” politicamente la strage di Vergarolla sul tavolo della conferenza di pace di Parigi per ottenere vantaggi diplomatici. Molto probabilmente c’entrano le varie ipotesi di cui abbiamo parlato più sopra. Mettere sul piatto Vergarolla avrebbe portato alla scoperta dell’appoggio italiano alla embrionale guerriglia istriana e forse di rapporti ben peggiori tra gli apparati statali e i gruppi neofascisti. Difficilmente la neonata Repubblica Italiana sarebbe riuscita a sopravvivere a simili rivelazioni.
Se è così, per la stessa esistenza della Nazione, venne ritenuto opportuno chinare la testa e dimenticare gli oltre sessanta morti di Vergarolla, un caso che non venne mai riaperto nemmeno dopo la caduta della Jugoslavia.
Gli assassini ed i mandanti della strage di Vergarolla sono sicuramente morti da anni, impuniti e convinti di avere agito per il bene della propria Nazione o della propria ideologia e forse addirittura per la pace mondiale.
Come è certo morto da anni l’uomo della fotografia, il padre che corre urlando sulla battigia reggendo tra le braccia il corpo orrendamente straziato della figlioletta, una bimba di forse nemmeno cinque anni.
Non ho nemmeno il coraggio di pensare a come sarà stata la sua vita dopo il 18 agosto 1946, se sia riuscito a ricostruire la propria esistenza, se l’abbia trascinata faticosamente e dolorosamente negli anni successivi oppure se abbia deciso di chiuderla da sé, non riuscendo più a sopportare l’insopportabile.
Da settant’anni l’uomo nella fotografia continua a correre urlando sulla spiaggia, e lo farà per sempre.
Dedicato a lui.
Fonti principali: “Vergarolla, 18 agosto 1946” di Gaetano Dato, Gorizia 2013; “la nuova Stampa”, il “Giornale Alleato”.