Il “sagrestano”: l’appuntato Mario Viola
– La Storia dell’Appuntato Mario Viola –
Ci sono storie che possono essere tranquillamente collocate in qualsiasi epoca, tanto la morale che ne ricavi alla fine…. pure quella non ha età. Ciò che ti capita di provare quando arrivi alla fine di una storia come questa che ti sto per raccontare è lo stesso sentimento di rabbia e di impotente incredulità che deve avere toccato in prima persona i familiari di un nostro Collega coinvolto in una vicenda che avrebbe meritato ben altro epilogo.
Sono storie che invitano soprattutto a riflettere per tutto il contorno che ha reso la vicenda in questione ancora più grottesca e surreale. Potrei lanciarmi in anatemi contro la cronica assenza di memoria del nostro Paese; potrei ancora prendere una posizione drastica nei confronti delle controparti o di tanta parte del giornalismo italiano che da questo episodio ne esce davvero infangato.
Scelgo invece di narrarvi una storia semplicemente per quella che è stata. Una storia che ha fatto versare fiumi di inchiostro alla stampa salvo poi diventare materiale d’archivio. Una storia che i romani di ieri probabilmente ricorderanno per un pomeriggio da far west che caratterizzò la capitale.
E’ la storia dell’Appuntato (poi Brigadiere) di Pubblica Sicurezza Mario Viola.
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Roma, 8 giugno 1973.
E’ una giornata calda e soleggiata, quella che interessa l’Urbe. Una giornata destinata a diventare ancora più calda. C’è una “Giulia” color panna che sta gironzolando da un po’ nel quartiere di Porta San Giovanni: un’auto anonima come ce ne sono tante in circolazione. L’austerity in cui versa il Paese in quegli anni si riflette anche sul colore delle auto degli italiani…. Meno anonime sono le facce dei tre occupanti: capelloni, giubbetti sportivi a vita corta, occhiali da sole, barbe incolte. Ma si sa, la moda degli anni Settanta ha abituato la gente a vedere questi giovani passati da doppiopetti e colletti inamidati all’abbigliamento più stravagante. Come lo chiamano, casual…. E’ un po’ di tempo che questi tre giovani stanno bighellonando nel quartiere: passano, ripassano, avanti, indietro… Nel frenetico andirivieni capitolino riescono tuttavia a passare pressochè inosservati.
Ma per il momento lasciamo questi tre al loro girovagare.
Roma, stesso giorno. Commissariato di P.S. di Porta San Giovanni.
Una giornata di duro lavoro per tutti i militari impegnati non solo nel programmato servizio di controllo del territorio (questa affascinante novità che da qualche anno ha rivoluzionato il modo di fare Polizia), ma anche gli onnipresenti e (im)previsti servizi di ordine pubblico in un clima politico e sociale che sembra quasi di stallo. Siamo infatti dopo il turbinio di eventi del Sessantotto, ma già l’Italia si sta preparando a quelli ben più tristi che caratterizzeranno gli anni a venire. La vita dei poliziotti non ha orari, anche se si tratta di quella decisamente più morbida dei commissariati sezionali. E infatti di buon mattino assieme ad altri colleghi arriva al lavoro anche un appuntato: si chiama Mario Viola, uno che di Polizia ne ha macinata tanta in anni anche più tosti di quello attuale. In commissariato lo hanno soprannominato affettuosamente “il sagrestano” per il suo carattere tranquillo e talmente aperto al dialogo con il cittadino da essere ben presto diventato una figura di riferimento per quella zona della città. Insomma, uno conosciuto e apprezzato da tutti. L’appuntato Viola è uno che la Polizia l’ha sempre affrontata con l’entusiasmo di un ventenne, anche adesso che a 46 anni suonati potrebbe dedicarsi un po’ più alla famiglia, alla moglie Carmela e ai tre figli Rita, Annunziata e Giovanni: ora, poi, che c’è questo nuovo “giocattolo” della volante con le rombanti Alfa Romeo “Giulia” che sfrecciano per le strade della città a caccia di criminali, al nostro Mario sembra di essere tornato bambino! Si è subito offerto volontario con doppi turni anche non retribuiti pur di assicurare la “volantina” del commissariato: alla mattina ufficio denunce, il suo regno incontrastato; al pomeriggio o alla sera in giro per le vie con la grigio-verde e il lampeggiante acceso. Glie lo avevano detto in tanti, a San Giovanni: “Mario, tu sei troppo buono, lascia stare questo lavoro di volante, non fa per te!” Lui bonariamente incassava con un’alzata di spalle, ma poi via per la sua strada, da buon siciliano testardo! Un giorno era addirittura tornato a casa con un piccolo in fasce: un bimbo di poche settimane i cui genitori, immigrati pugliesi, avevano perso la casa e non riuscivano a sfamarlo. Per quindici giorni casa Viola era diventata la nuova casa di quel frugolo.
Ma torniamo a quei tre loschi figuri a bordo della “Giulia” color panna. Li abbiamo lasciati a gironzolare per il rione. E qui li ritroviamo, stavolta fermi di fronte a una gioielleria in via Vejo, alle spalle del mercato di via Magnagrecia. Sono nervosi, le sigarette fumate senza sosta tradiscono la loro tensione. E il loro disaccordo. Lo avete capito anche voi, sono tre rapinatori. Ma tra loro non c’è univocità di vedute sul piano messo su da uno di loro. Una gioielleria, in pieno giorno e per di più col traffico caotico di quell’ora… Roba da pazzi! Sì, perchè il colpo era stato studiato all’apertura pomeridiana del negozio: strade più sgombre, la gente ancora a casa e comunque ben disposta a farsi i cavoli propri, ancora nessun cliente… Un lavoro facile e pulito, almeno in apparenza. Ma avevano tergiversato: prima il ritardo nell’apertura del negozio, poi il proprietario che si ferma a parlare con due tizi davanti alla serranda, poi ancora una macchina della Polizia che era passata un paio di volte, fortunatamente per loro dall’altra parte del viale. E poi c’è quella “Giulia” che scotta peggio di un braciere: rubata la sera prima, di sicuro adesso è su tutte le volanti come nota di ricerca. E ancora, le armi che hanno con sé, un arsenale: ce n’è quanto basta per finire al fresco per un bel pezzo. Bisogna far presto. Ma ancora non si decidono.
Alla fine il “capo”, uno che sembra un duro, si impone su tutti gli altri: il piano è ben congegnato, uno fuori a far da palo e gli altri due dentro; una veloce razzia di pietre preziose e poi via di corsa alla Magliana dove c’è il ricettatore giusto con denaro frusciante da spartirsi tra loro. Il panzone del gioielliere, poi, quello davvero non crea problemi… Allora si decidono e partono all’attacco. Ma sono già le 17, un’ora bastarda per un colpo del genere… Due di loro entrano nella gioielleria, non danno il tempo all’uomo dietro al bancone di alzare lo sguardo dal campionario appena ritirato e gli assestano un manrovescio che lo manda gambe all’aria; mentre il primo lo tiene sotto tiro con una pistola, il secondo inizia la razzia. Sono tutti concentrati sull’interno che nessuno guarda all’esterno. Anche il “palo”, tutto concentrato a scrutare la strada per vedere se arriva qualche “pantera”, non nota un uomo che dal marciapiede si defila in un bar lì vicino.
A Monopoli questo sarebbe stato il classico imprevisto, l’imprevisto che ti faceva finire in prigione “dritto e senza passare dal via”.
Quell’uomo è in realtà un funzionario del Ministero del Turismo ma soprattutto è un cittadino coraggioso, un cittadino con la C maiuscola. Ha notato quello che sta avvenendo nella gioielleria e subito inforca la cornetta del telefono e compone il 113, quel nuovo magico numero all’altro capo del quale c’è sempre qualcuno in grado di aiutarti.
L’allarme rapina rimbalza subito alla sala operativa della questura che dirotta sul posto almeno 5 volanti. Forse quel giorno i tre della “Giulia” color panna avrebbero fatto meglio ad andare a pescare….
Roma, commissariato di Porta San Giovanni. Ore 17:14.
L’allarme lanciato perentorio via radio da “Doppiavela 21” rimbalza anche negli uffici di questo piccolo distaccamento sezionale. Del resto, via Vejo è lì a due passi. Non si sa se Mario Viola è ancora in ufficio o se è già in giro con la volante. Sta di fatto che è comunque il primo a rispondere: “Volante San Giovanni, ricevuto!”, una mano sulla radio e l’altra già sulla sirena. Concordano un piano di intervento congiunto con le altre volanti, la “San Paolo”, la “Vaticano” e la “Trastevere”. Comunque sia, Mario arriva sul posto per primo.
Il “palo” ancora prima di vedere, SENTE che il piano è andato a monte. Lo sente dall’aria squarciata dalla sirena a fischio di una “pantera”. Con una bestemmia si attacca al clacson della “Giulia” ma poi, senza aspettare altro, ingrana la prima e fugge in uno stridio di pneumatici e puzza di gomma bruciata lasciando nelle classiche braghe di tela i due complici. Complici che, quando escono, anziché trovare una “Giulia” color panna ne trovano come per magia un’altra: grigio-verde e con un bel lampeggiante blu sul tettuccio. Il colpo non è manco riuscito, tanta è stata la fretta di abbandonare il posto. Ma non si danno per vinti: si separano e fuggono a gambe levate inseguiti dai poliziotti. Uno di questi è l’Appuntato Mario Viola: “punta” il più vicino a lui e con un collega gli si lancia alle calcagna intimandogli a più riprese di fermarsi. Sa che è armato, gli ha visto quella pistoletta nera che sembra un giocattolo. Ma non gli va di rischiare: il respiro strozzato in gola, estrae la sua Beretta 34, un vetusto arnese post-bellico, ed esplode alcune cannonate in aria. I passanti, che avevano osservato la scena, alle prime esplosioni si trasformano in lepri trovando rifugio dove capita. Nel frattempo l’aria circostante è pervasa dal suono di altre sirene: la cavalleria al completo! Il bandito cerca di accelerare l’andatura infilandosi in vicoli, giardini, saltando cancellate ma sentendosi il fiato dello sbirro alle calcagna. Vicino, troppo vicino. E infatti, all’ennesimo tentativo di scavalcare una ringhiera stavolta troppo alta per lui, due poderose mani lo afferrano per i pantaloni e lo tirano giù senza troppa misericordia. “Fermati, sei in arresto, non fare sciocchezze!” si sente intimare. Non può finire così… Il bandito è Vincenzo Ragolia, una fedina penale lunga come la quaresima: si gira ed esclama: “Poliziotto prepotente, lasciami o ti ammazzo!” e da sotto il giubbotto preme il grilletto. Un unico colpo, sembra quello di un mortaretto a confronto con le cannonate cal. 9 esplose poco prima dall’inseguitore. E questa è stata la fortuna di Mario Viola. Il proiettile, un 7,65, lo colpisce al busto: perfora un polmone, sfiora il muscolo cardiaco, rimbalza contro una costola e si ferma a ridosso di una delle vertebre. Mario Viola sente un dolore, come una stilettata e subito le gambe che gli cedono. Con uno sguardo tra l’incredulo e il rammaricato crolla a terra. Ma alle sue spalle il suo fido collega non lo aveva mollato di un centimetro: la guardia Tommaso Celestini si accorge di tutto e non dà al bandito il tempo di sparare ancora. Con un colpo preciso lo centra a una spalla: l’ogiva cal. 9 lo colpisce come un maglio e lo fa finire a terra dove viene ammanettato. Nel frattempo un giovane si avvicina all’appuntato Viola e lo soccorre. Si chiama Arnaldo D’Aniello. Aveva già cercato di fermare il bandito in fuga lanciandogli contro un pezzo di ferro ma mancandolo. Ora slaccia la cravatta dell’uniforme di Viola, gli sorregge il capo e vede quella macchia di sangue allargarsi sul tessuto grigio-verde della camicia. L’appuntato gli sussurra qualcosa con un filo di voce. “Non mollare!” è l’implorazione di D’Aniello. Prima dell’ambulanza arriva una volante: caricano il collega sui sedili posteriori e poi si lanciano verso il più vicino ospedale, salvandogli in questo modo probabilmente la vita.
Ma non è finita. L’altro bandito in fuga, un altro “stinco di santo” di nome Paolo Carinci, crede di averla fatta franca. Ha sentito alle sue spalle spari, sirene, grida, sgommate di auto. La città è diventata per lui una giungla piena di insidie. Raggiunge piazza Tuscolo, ormai può rallentare: è tutto sudato, si ravvia i folti capelli sistemandosi alla buona e vede a pochi passi da lui la sua salvezza: una Fiat 124 gialla con la scritta TAXI. Ma nella giungla tutto può succedere: quando credi di esserti salvato dall’attacco di un leone, ecco sbucare dal sottobosco un giaguaro che silenzioso aveva seguito la preda approfittando della sua vulnerabilità. Questo giaguaro ha le sembianze del tenente colonnello di pubblica sicurezza Antonio Marcucci, comandante di nucleo del 1° Reparto Celere di Roma. Uno tosto che prima di entrare in Polizia si era fatto la guerra mondiale nei Bersaglieri. E che anche in Polizia aveva dato i suoi buoni frutti: aveva comandato i battaglioni di soccorso pubblico nelle alluvioni di Roma e Firenze e per il terremoto in Sicilia; era rimasto ferito due volte in operazioni anti-banditismo in Sardegna e aveva personalmente sventato altre due rapine, in una delle quali era rimasto nuovamente ferito. L’ufficiale si trova a bordo della vettura di servizio: era stato in città a sbrigare alcune faccende per conto del Reparto Celere ed era rimasto “imbottigliato” nel traffico della Roma pre-serale. Il suo istinto era stato messo in allerta già quando aveva visto sfrecciare a sirene spiegate numerose volanti della Questura. Ora, quel brutto muso tutto sudato che è salito frettolosamente su un taxi. Ce n’è quanto basta per intervenire. Scende veloce dalla macchina ordinando al suo autista di attendere. I suoi sospetti ricevono tutte le conferme del mondo quando un ragazzo gli fa cenno che si tratta proprio di un bandito. Carinci ha quasi posato le chiappe sulla similpelle della 124 quando due mani che sembrano due remi, forse le mani dell’Onnipotente, lo sollevano di peso, lo tirano fuori dal TAXI e lo sbattono faccia a terra sul selciato, subito accompagnate da un ginocchio che gli blocca schiena e respiro inchiodandolo. Una voce stentorea gli intima: “Pubblica sicurezza, non ti muovere!”. E’ finita.
Roma, ospedale San Giovanni. Ore 19:00
C’è un vetro, uno di quelli acidati e opachi che caratterizzano gli ospedali. Quel vetro separa la vita dalla morte. Al di qua, una donna disperata sorretta dai figli e da tutto il “gotha” della Polizia capitolina; al di là un uomo intubato che viene preparato per un delicato intervento chirurgico. La donna si chiama Carmela Sciglitano: è la moglie dell’appuntato Viola. Una donna forte che sta vivendo gli attimi più drammatici della sua vita. Attimi resi ancora più tristi dall’assoluta mancanza di rispetto dei fotoreporter che, nel nome di un becero sensazionalismo, riescono a valicare quel vetro addirittura prima di lei: scattano alcune istantanee di un moribondo steso su un letto, con tubi e aghi piantati in ogni dove. In barba a qualsiasi norma igienica, uno di questi esseri riesce a fotografare la vittima quando è già sotto i ferri in sala operatoria. Le foto campeggeranno indegnamente sulla carta stampata già a partire dal giorno dopo. La signora Carmela non guarda più in faccia a nessuno, nemmeno al Questore: lancia una serie di invettive contro questi scribacchini che non hanno rispetto per niente e per nessuno; solo tardivamente il Questore darà ordini precisi circa le modalità di accesso alla struttura ospedaliera. Ma intanto la beffa si è già aggiunta al danno.
Nel frattempo, anche il feritore di Viola è dovuto ricorrere alle cure ospedaliere per quella ferita alla spalla: Ragolia viene portato nel medesimo ospedale scortato da quattro guardie di p.s. che non lo mollano un secondo, tutte con uno strano prurito alle mani. All’esterno dell’ospedale il fratello minore di Viola lo vede mentre sta per essere tradotto a Regina Coeli e gli salta addosso riuscendo ad assestargli un paio di pugni prima di essere bloccato. Siamo già al giorno dopo il ferimento dell’appuntato e le notizie che caratterizzano il suo quadro clinico non sono delle migliori: oltre alle lesioni polmonari, i medici sono preoccupati soprattutto dall’intaccamento di una delle vertebre dorsali e temono la perdita dell’uso delle gambe del militare. La prognosi continua a essere riservatissima. I nervi diventano ancora più tesi quando si viene a sapere che uno dei rapinatori, Paolo Carinci, era in libertà provvisoria dopo l’ennesimo violento furto. Italia di ieri, Italia di oggi….
Alla fine di questa storia posso sollevarvi lo spirito raccontandovi di come l’Appuntato Mario Viola, promosso sul campo vice brigadiere per merito di servizio, non restò paralizzato. Una bella mattina, nel corso di una delle tante visite, i medici si accorsero che non solo muoveva entrambe le gambe, ma che stava cercando di alzarsi dal letto! Posso anche completare il discorso descrivendovi il rientro in servizio del vice brigadiere, ancora per pochi anni però: una giusta e meritata pensione lo stava aspettando di lì a poco.
Ma ogni medaglia ha il proprio rovescio. E questo rovescio si compone di una salute ormai incrinata, di frequenti ricoveri in ospedale per essere sottoposto ad altri interventi e ad altre terapie per contrastare i cedimenti di un fisico che non si era più ripreso da quelle ferite. Come l’Appuntato Antonio Di Palo. Come il Tenente Colonnello Maurizio Genolini. Come tanti altri Poliziotti di tutte le epoche che a distanza di anni pagarono cara la loro dedizione al servizio in cambio di un posto nel dimenticatoio istituzionale. Mario Viola muore il 5 gennaio 2000 in dipendenza di quei fatti. Ventisette anni di calvario di un uomo buono, un Poliziotto che ha preferito lo scontro fisico con un bandito armato piuttosto che una più semplice e legalmente corretta pistolettata alla testa. Un uomo che ha sempre considerato l’essere umano come sostanzialmente buono, bastava solo saperlo prendere per il verso giusto.
Il 5 gennaio 2010 il questore di Roma Giuseppe Caruso e le più alte autorità della Capitale hanno reso omaggio alla memoria del vice brigadiere Mario Viola scoprendo una targa in suo nome all’interno del commissariato San Giovanni: di questo la stampa si è ben guardata dal darne notizia se non con un trafiletto a fondo pagina e con un’ANSA di tre righe. Un po’ poco per rimediare allo scempio di quelle foto scattate a tradimento e che restano come un oltraggio alla memoria di un uomo e di un ottimo Poliziotto.
Per la redazione Cadutipolizia: Gianmarco Calore
Grazie per questa bellissima storia, e non solo…