Ancora una volta, il destino
ANCORA UNA VOLTA, IL DESTINO
La storia del brigadiere Francesco Teza
Il destino è qualcosa di incomprensibile.
E’ un filo conduttore che guida le nostre vite in modo silenzioso, quasi sempre a nostra insaputa. Decide la nostra nascita, stabilisce il percorso del nostro sviluppo, se ci sposeremo, se avremo figli e se sì, quanti ne avremo… Ci fa incontrare persone importanti che a loro volta segneranno noi stessi; altre invece ce le fa perdere, talvolta involontariamente, altre volte invece no.
Se poi volessimo abbinare queste parole al concetto di morte, beh, quante volte abbiamo sentito pronunciare la fatidica frase: “Era destino…”. Quante volte infatti ci siamo trovati a censire molti nostri Colleghi morti per quelle che sembravano coincidenze, addirittura autentiche beffe? Me ne vengono in mente tanti: Giulio Rivera, che all’ultimo momento sostituì nella scorta dell’on. Moro un altro commilitone colpito da appendicite; Giordano Coffen, caduto in una rapina solo perchè quella sera aveva sostituito un altro collega che aveva improvvisamente marcato visita; Lorenzo Pachor, morto a Roma stroncato da un malore, anch’egli dopo avere sostituito un collega in una di quelle sfiancati scorte ai convogli postali. Tre nomi tra tanti, l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Questa è la storia di Francesco Teza, brigadiere in servizio al Nucleo Guardie di P.S. di Alessandria. Gli osservatori più attenti (e magari autoctoni) avranno già rizzato le orecchie al suono del cognome: diffusissimo sulla piana di Longarone, quel paesone ai piedi delle Dolomiti bellunesi. Se poi vi dico che il brigadiere Teza morì il 9 ottobre 1963, credo che ben poco resti da aggungere alle circostanze che ne causarono il decesso.
I fili conduttori di questo discorso si intrecciano in un’amalgama non districabile, a partire dal fortunoso ritrovamento di un articolo pubblicato su La Stampa del 27 ottobre 1963. Come sempre, ero alla ricerca di Caduti ancora non censiti e mi stavo destreggiando nell’immenso database del quotidiano piemontese. Poi, ecco l’articolo: scritto con l’umanità che contraddistingueva il giornalismo degli anni Sessanta, fatto di rispetto e di senso del limite.
Ancora una volta, il destino.
Francesco Teza è un brigadiere di 42 anni. Vive da tempo ad Alessandria ove presta servizio al Nucleo Guardie di P.S. della questura: lì si è trasferito assieme alla moglie Antonia e ai due figli, Mauro di 10 anni e Luciana di 15. Vive in un decoroso appartamento di via Bergamo 2 dopo una vita dura e avventurosa che lo aveva portato a combattere la seconda guerra mondiale dapprima in Marina nel Mediterraneo, poi sui monti come partigiano. Dopo la guerra si era arruolato nel Corpo delle Guardie di P.S. e nel 1956 era stato nominato vicebrigadiere, con uno stipendio di 111.055 Lire che garantivano il necessario ai suoi cari.
Ma Francesco Teza è soprattutto un montanaro. Uno di quelli che ha dovuto abbandonare prestissimo la sua valle, in cerca di miglior fortuna. E il cuore di un montanaro conserva radici profonde con la sua terra: ecco perchè il sottufficiale appena può fa ritorno nella sua Longarone, lontano dalla frenesia delle grandi città, a contatto con l’aria pura delle montagne, con i loro profumi e i loro panorami. Oltrettutto, in quel periodo la mamma è ricoverata in ospedale a Belluno per qualche acciacco di poco conto, ma che va curato. Ragione in più per tornare.
Quell’ottobre del 1963, poi, è un qualcosa di spettacolare. Le giornate sono meravigliose, gli alberi si stanno tingendo dei primi colori dell’autunno, anche se il clima continua a essere mite. Quale migliore occasione per una licenza da passare a casa, nella sua vera casa? La licenza gli viene concessa il 7, come puntualmente annotato sul foglio matricolare. Rientro in servizio previsto per il 12 ottobre. Sono solo pochi giorni, ma il richiamo delle sue montagne è troppo forte.
Certo, negli ultimi anni Longarone ha cambiato rapidamente aspetto. E’ diventata il centro industriale del medio bellunese, con uno sviluppo manifatturiero incredibile, tanto da meritarsi l’appellativo di “piccola Milano”. E poi c’è la SADE, quella società privata che sta finendo di costruire il monumento all’ormai imminente “boom” economico: lassù, lungo la gola del Vajont è sorta la diga a doppio arco più grande del mondo, orgoglio dell’ingegneria nazionale e passaporto per ben più importanti progetti europei. Ha portato tanto lavoro per tutti, da quando nel 1955 venne aperto il cantiere. Polemiche, certo, ce ne furono tante…. ma vuoi mettere il progresso, il benessere, il sentirsi al centro del mondo?
Ci sono però voci sempre più insistenti di qualche problema, lassù, sulla piana del monte Toc. La gente parla con sempre maggiore insistenza di sordi boati dal ventre della montagna che si affaccia sull’immenso lago artificiale. Ci sono crepe e fessurazioni che i pastori hanno visto con i propri occhi farsi sempre più grandi sopra San Martino, Le Spesse, luoghi dove solo mucche e capre riescono ad arrivare.
Molti sono saliti di persona a verificare, subito scacciati dai guardiani della diga che non vogliono ficcanaso lassù da quelle parti. Ma i pochi che sono riusciti ad aggirare i blocchi e i reticolati hanno descritto scenari da incubo, con gli alberi del Toc che si piegavano e si muovevano a vista d’occhio, come se l’intero costone stesse scendendo sul lago. Ancora polemiche, tra costoro e quelli che negavano sostenendo che si trattava di invidia, che la SADE era fatta da professionisti, che i racconti dei reduci dal pian del Toc erano frutto dell’abuso di vino in qualche osteria di Erto e Casso.
Questo è il panorama che nella serata del 7 ottobre accoglie Francesco Teza nella sua Longarone, dopo un estenuante viaggio in treno fino a Belluno e di lì in corriera fino a casa. Moglie e figli non sono potuti venire con lui, i ragazzini hanno scuola e tutto sommato la sua signora preferisce la tranquillità di casa in Piemonte: troppa la fatica di un viaggio per stare solo tre giorni in montagna.
Ancora una volta, il destino.
Longarone, 9 ottobre 1963 ore 22:00.
Francesco Teza si trova al bar “Centrale”. Si è concesso le ultime ore di svago assieme a conoscenti e amici di fronte a un mazzo di carte da briscola e un paio di “giri” di grappa. Chiacchiere su quanto sia dura la vita lontano da casa, le ultime sigarette fumate con un occhio all’orologio. A breve dal piazzale della stazione partirà la “corsetta”, il pullman che collega il paese a Belluno. Qui, poco prima di mezzanotte Teza dovrà prendere il treno per Alessandria: cambio a Venezia, poi a Milano e arrivo a destinazione per le 11 dell’11 ottobre. Una sfacchinata, ma tanto il brigadiere è abituato a dormire ovunque, anche sulle scomode panche di 3° classe delle Ferrovie! Tutto calcolato, a prova di ritardi. E’ quindi arrivato il momento di salutare l’allegra combriccola e incamminarsi.
“Ma dai, Checo!! Sta qua co’ nialtri uncòra un fià!!”
Un amico lo trattiene, tanto c’è l’ultima “corsetta” per Belluno alle 22:40, può prendere tranquillamente quella!
“No, tosi, dai… se perdo el treno, no rivo più casa!”
L’insistenza di uno diventa via via quella di tutti. Il calore dell’amicizia vera, coltivata da tanti anni di conoscenza reciproca e incentivata dal tepore sonnacchioso di quel bar e dall’ennesima grappetta versata per un ultimo brindisi hanno la meglio su tutte le buone intenzioni del brigadiere, che si lascia convincere con un’ultima battuta diretta a un amico: “Mènego, varda che se perdo el treno te me porti tì fin casa, co la to machina! E no sta credare che te paga la nafta!!”
Le risate sincere e leali rimbombano in tutto il locale, mentre su in alto, sul pian del Toc, ben altri rimbombi stanno aumentando di intensità…. Francesco Teza resta lì, per pochi minuti: quelli che bastano per essere spacciato.
Ancora una volta, il destino.
Alle 22:39 quella gigantesta frana conosciuta da tutti gli addetti ai lavori, con cui per almeno due anni tecnici, ingegneri e geologi hanno addirittura parlato, perfettamente individuata con teutonica precisione dal geologo Leopold Muller, viene giù in tutta la sua devastante portata impattando col lago, schiacciandolo come un gigantesco brufolo addosso al monte Borgà, sul verstante opposto, alzandolo orograficamente di quasi 10 metri. Alle 22:41 metà dell’onda di piena, dopo avere mancato per puro miracolo i paesi di Erto e Casso e avere scavalcato la diga infognandosi nella gola del Vajont, piomba su Longarone cancellandolo dalla faccia della terra assieme alle frazioni limitrofe. La storia la sapete, non credo sia il caso di indugiarvi ancora.
Non so cosa pensò Francesco Teza quando la luce andò via all’interno del bar. Stupore, forse. Notare magari che l’intero paese è al buio, forse per un temporale in arrivo: lassù in diga si vedono lampi potentissimi e si sente anche il rumore del tuono. Solo che i lampi sono causati dai cavi della media tensione strappati dai tralicci e il tuono è una gigantesca massa d’acqua, fango, roccia, alberi che sta arrivando inarrestabile.
Alessandria, 10 ottobre 1963 ore 10.
La signora Teza manda il figlio Mauro dal lattaio a fare la spesa. In bottega qualcuno gli dice: “Mauro, non è a Longarone che vai sempre in vacanza d’estate? Sai, stanotte è scoppiata una diga…” Il bambino urla disperato: “Ma a Longarone c’è il mio papà!!”. Mauro corre a casa, unico rifugio in un mondo che gli sta crollando addosso: nel tinello, appeso a un gancio c’è ancora il berretto dell’Uniforme. La signora Antonia apprende con sgomento della disgrazia e parte per Longarone, i bambini affidati al maestro elementare di Mauro. Per quasi tre settimane la donna farà un incessante andirivieni tra casa e il luogo della tragedia, con la caparbia convinzione di ritrovare il corpo del marito: “Porterò a casa papà” prometteva ogni volta ai due bimbi.
Ma il corpo non si trova. In quell’inferno dove tutto è fango, foschia, appiccicosa umidità i soccorritori stanno recuperando cadaveri maciullati e sempre più decomposti. Molti militari sono dovuti essere sostituiti in fretta e furia perchè colpiti da crisi di nervi e allucinazioni. Ma la signora Antonia è montanara pure lei e la parola che ha dato sarà mantenuta costi quello che costi, anche se per giorni interi è costretta a sbirciare dentro decine di bare allineate su un prato, con un fazzoletto a turarle il naso e un groppo a chiuderle la gola.
Fortogna, ottobre 1963: i familiari dei dispersi cercano di riconoscere i propri congiunti (archivio fotografico Corbis, per gentile concessione)
Il 25 ottobre, a 16 giorni dal disastro, proprio lì dove sorgeva il bar “Centrale”, sotto metri di fango rinsecchito e macerie, gli Alpini trovano l’ennesimo cadavere: è quello di Francesco Teza, riconoscibile solo per la fede matrimoniale che ancora portava al dito. Il 27 ottobre una bara di legno scuro viene calata in una delle fosse del cimitero di Fortogna: è messa a fianco a una fila di altre bare, grandi, piccole, chiare, scure. Contiene i resti di Francesco Teza, che ora riposa nella sua terra assieme ai suoi paesani che persero la vita sull’altare dell’ingordigia umana.
Qui su Cadutipolizia ci siamo ripromessi di dare spazio a tutte quelle storie purtroppo tragiche che hanno toccato i nostri Fratelli e Sorelle di Giubba. C’è spazio per tutti, ci vuole solo il tempo di trovarli. Personalmente sono sicuro che ciò avverrà ancora con molti altri di loro, perchè se oggi abbiamo riportato a casa Francesco Teza, domani capiterà con qualcun’altro. In 12 anni di ricerche è ciò che abbiamo imparato: quando meno te lo aspetti, ti imbatti sempre in storie come questa.
Ancora una volta, il destino.
Per la redazione Cadutipolizia: Gianmarco Calore
Fonti consultate:
- La Stampa del 27 ottobre 1963;
- T. Merlin, “Sulla pelle viva”
- M. Paolini, “Orazione sul Vajont”, 1997
- Archivio fotografico Corbis
Bella e commovente la biografia del Brig. Teza. Un solo appunto: uno stipendio di 111,055 lire per un vice brigadiere di p.s., nel 1956 , era solo un sogno.
La cifra si riferisce al 1963 ed è riportata sull’articolo originale In tale quantificazione. Può essere un refuso di stampa?
nel 1958 quando si sposarono i miei genitori lo stipendio di mio padre era di 28 mila lire circa che arrivarono a poco più con gli assegni per mia madre…. considerando che mio padre era guardia e che la persona dell’articolo aveva moglie e due figli però 80 mila lire di differenza mi sembrano tanti
Può essere che l’importo sia sbagliato, oppure che comprenda qualche accessoria tipo i figli a carico. Pur essendo parsa eccessiva anche a me, ho preferito non modificare il dato riportato in stampa.
Più che un refuso lo ritengo un errore di valutazione .Il figlio del capitano Londei, nel documentare su Polizia nella Storia la biografia del padre scrive :”1960-La Situazione Socio-economica-L’Italia ha 50.045.00 abitanti; ……………………………………un agente di Pubblica Sicurezza percepisce uno stipendio inferiore a £. 50.000 al mese. Un sottufficiale di Pubblica Sicurezza con moglie e tre figli a carico, arriva a circa £. 80.000 mensili. Un capitano di Pubblica Sicurezza con quindici anni di anzianità e con moglie e cinque figli a carico, guadagna circa £. 120.000 mensili.” Ed eravamo nel 1960,cioè quattro anni dopo, in periodi in cui l’inflazione galoppava ……
Certo, tutto può essere… Mancandoci la competenza tecnica per stabilire l’esatto importo dello stipendio di un brigadiere di P.S. nel 1963 abbiamo preferito lasciare inalterato il testo dell’articolo originale.
Ritengo peraltro che in questa sede un tale argomento rivesta carattere del tutto residuale, quindi possiamo tranquillamente andare oltre….