IL COMMISSARIO X
Nel suo libro “Uomini comuni” (Einaudi 1995) lo storico Christopher R. Browning, narrando delle imprese in Polonia e nell’URSS del Battaglione 101 della Ordnungspolizei tedesca, responsabile dello sterminio di almeno 38.000 persone, per la maggior parte ebrei, scrive
“ […]I poliziotti del battaglione che attuarono i massacri e le deportazioni erano esseri umani, esattamente come i pochi che rifiutarono o si sottrassero a tali compiti. Dovrò perciò riconoscere che, nella stessa situazione, sarei potuto essere un assassino o un disertore (entrambi erano esseri umani) se vorrò comprendere e spiegare nel modo migliore i loro comportamenti […]”
Esiste un fascicolo, in qualche ufficio.
Una cartellina che non abbiamo il coraggio di aprire, per il timore di ciò che ci potrebbe rivelare.
Lo so.
Siamo dei divulgatori di Storia ed a questa ci dovremmo attenere.
Senza paura, senza timore.
Ma non è sempre facile. No, non lo è per niente.
La fotografia è atroce.
Una fila di corpi su un prato. Almeno cinque uomini, tutti dell’ apparente età di circa 40 anni, stesi in mezzo all’erba.
Su almeno due di loro si vedono le ferite di arma da fuoco, atroci, devastanti.
Il primo della fila, un uomo indossante un elegante completo scuro, ha il volto integro ma, nonostante la fotografia, si intuisce che le raffiche del plotone di esecuzione sono state terribili.
Intorno ai corpi si vedono le gambe di numerosi altri uomini, uno dei quali indossa un impermeabile bianco, che stanno fissando la fila dei corpi.
La data? 28 aprile 1945.
Il luogo? Varese, poco dopo la Liberazione, nello stesso luogo dove nell’ottobre dell’anno precedente erano stati massacrati tre partigiani.
Gli esecutori? Una qualsiasi unità partigiana.
I morti? I vertici della RSI di Varese, catturati e sommariamente giustiziati.
Il primo uomo della fila? Il commissario di polizia X.
Non citeremo il suo nome, per motivi che appariranno chiari in seguito.
Il primo pensiero, vedendo quell’immagine atroce riprodotta nel libro “La notte di Salò 1943-1945” dello storico varesino Franco Giannantoni, è stato quello più umano:
“Che scempio!” , ci siamo detti.
Che orrore.
Il classico orrore al termine di ogni guerra civile e, anche quella italiana, che non ha fatto eccezione.
Crediamo che, se quella stessa foto fosse riprodotta su determinati siti, i commenti sarebbero spietati con la condanna senza appello dei malvagi partigiani, biechi servi di Mosca e dello straniero. Del resto, questa è l’attuale moda.
Attenzione, però.
In effetti, quella fotografia è la peggiore punizione storica che si possa immaginare per la giustizia sommaria del Dopo Liberazione, una pena senza sconti, soprattutto per chi la Storia la conosce poco o per sentito dire e ripete come un mantra la stucchevole frase che la Storia la scrivono i vincitori (vera fino ad un certo punto ma ormai ripetitiva e troppo spesso usata come coperta benaltrista).
Poi arriva la lettura del passaggio che accompagna la fotografia, ed è un colpo al cuore.
E’ l’elenco dei gerarchi fucilati: il capo della Provincia (durante la RSI il prefetto), il federale responsabile del partito fascista, due militi della Brigata Nera locale, uno della Guardia Nazionale Repubblicana e il commissario X, “ responsabile della sezione “ebrei” delle Questure di Milano e Varese”.
Quando abbiamo letto quel brano, il colpo è stato fortissimo, pesante, difficile da reggere senza riflessioni, date le implicazioni…
….”responsabile della sezione ebrei”.
L’unico limite che ci siamo posti, durante le nostre ricerche per Cadutipolizia, è quello di accertare se il Caduto della Polizia Repubblicana fosse o no riconosciuto dalla Storia come responsabile di crimini di guerra o addirittura contro l’umanità.
Dai tempi “eroici” del sito, cioè dai primi due anni di vita, abbiamo escluso o tolto da Cadutipolizia decine di agenti, sottufficiali e funzionari facenti parte di reparti speciali di pessima fama, come ad esempio la “Banda Collotti” dell’Ispettorato Speciale della Venezia Giulia, come la “squadraccia” del tenente Martino della Questura di Novara e la più terribile, la Banda Koch (che comunque non è mai stata nemmeno mai presa in considerazione) o le varie “sezioni speciali” sparse un po’ in tutto il territorio della RSI.
Una selezione dura, forse manichea, certamente severa, ma inevitabile a nostro parere per evitare che accanto ad un povero cristo che aspettava solo la fine della guerra o anche ad un idealista rimasto al suo posto, poiché convinto di avere scelto la parte giusta, vi fossero ladri, stupratori, psicopatici e serial killer di Stato.
Sapevamo di avere lavorato bene, in questa durissima selezione ma non avevamo tenuto conto della possibilità più semplice, la più spaventosa: la banalità del male, la capacità dell’essere umano di colpire ed uccidere i propri simili non per malvagità, come avrebbe potuto fare un Koch, bensì perché questo era il proprio lavoro e non si sapeva fare altro, perché in tempo di guerra uno stipendio sicuro era la cosa importante o perché così la “rogna” sarebbe diventata di qualcun altro. E questo, a ben vedere è la cosa più spaventosa: la burocrazia, il posto sicuro e lo scaricabarile che costano la vita a migliaia di persone. Quanta gente è morta a causa degli uomini malvagi e quanta per colpa della banalità delle persone perbene ?
Dopo l’abominio delle leggi razziali del 1938, gli Uffici Ebraici delle Questure avevano stilato gli elenchi degli appartenenti alle comunità ebraiche italiane, elenchi che dopo l’8 settembre, erano caduti nelle mani di Gestapo ed SS o addirittura a loro forniti da zelanti funzionari di Polizia italiani ed erano costati la deportazione e la morte di migliaia di connazionali.
Ma è quello che accade dopo l’8 settembre, a fare male, a colpire, a ferire.
Se il rastrellamento di Roma aveva visto la partecipazione quasi esclusiva della Gestapo (e la resistenza passiva da parte di molti romani) a partecipare al rastrellamento del ghetto di Venezia del 5 dicembre 1943 furono militi fascisti, carabinieri e agenti della Polizia Repubblicana, in un blitz organizzato dalla prefettura della RSI (quella repubblica che, secondo alcuni poveri di spirito, avrebbe salvato la “dignità” italiana).
Primo Levi, l’autore di “Se questo è un uomo”, rammenta di essere stato scortato fino alla frontiera dai carabinieri. I rastrellamenti successivi vedono la partecipazione dell’apparato statale della RSI, non necessariamente dietro imput tedesco e altrettanto non necessariamente eseguito dalle sole milizie di Salò.
C’è un episodio sconvolgente ed emblematico, risalente al 15 marzo 1944, raccontato dallo storico Simon Levis Sullam nel suo “I carnefici italiani” (Laterza, 2015).
Siamo a Roma. Il dirigente del commissariato di zona scopre, dietro segnalazione di qualche “interessato”, la presenza di una famiglia ebrea nascosta in uno stabile. Il funzionario si presenta con alcuni agenti presso l’edificio per arrestare la signora Enrica Calò, i suoi quattro figli e gli anziani genitori. La portinaia cerca di salvare almeno la bimba più piccola della famiglia Calò, Emma, di 6 anni, nascondendola in casa con la tacita approvazione di almeno uno degli agenti di Polizia presenti.
Il commissario se ne accorge e, implacabile, strappa dalle braccia della portinaia la piccola Emma, che piange disperata, quindi riesce a scoprire la presenza anche di un nipote adolescente di Enrica Calò e arresta anche lui (a proposito, quanto può essere repellente associare la parola “arrestare” ad una bambina di 6 anni?)
Nessuno dei Calò sopravviverà alla deportazione. Emma morirà due mesi dopo ad Auschwitz.
Il commissario di pubblica sicurezza, inizialmente epurato dopo la Liberazione di Roma, in sede di giudizio racconterà ai giudici di avere agito in questo modo perché, sospettato dal questore repubblichino Pietro Caruso di connivenza con i partigiani, aveva deciso di “tutelarsi” così e proteggere in questo modo la propria attività a favore della Resistenza.
Sarà vero?
E anche se lo fosse, lo giustifica?
Non ci si dica che nell’apparato statale italiano tutti ignoravano la sorte riservata agli ebrei nella Germania nazista.
Questo poteva essere vero forse per i gradi più bassi nella gerarchia, ma i quadri intermedi ed i vertici come potevano ignorarlo?
Senza mettere ancora in campo il caso di Palatucci, altri poliziotti come i commissari Feliciano Ricciardelli della questura di Trieste, Amilcare Salemi di Como, Emilio Cellurale di Parma, e come loro tanti altri si impegnarono per il salvataggio di migliaia di innocenti.
Cellurale, ad esempio, manomise decine, forse centinaia di fascicoli intestati ad ebrei ed a famiglie di partigiani.
Salemi (destinato a venire assassinato nel 1946 da ex partigiani) fece fuggire in Svizzera centinaia di ebrei.
Ricciardelli fece altrettanto, collaborando con Palatucci e aiutando la fuga di centinaia di innocenti, venendo quindi arrestato dai nazisti e deportato a Dachau, da dove ritornò, a differenza di Palatucci ( nonostante venga citato da alcuni divulgatori di “area” come assassinato dai partigiani di Tito).
E se quattro poliziotti di provincia conoscevano la sorte destinata ai propri connazionali, come era possibile che lo ignorassero gli altri appartenenti all’apparato statale?
Come lo poteva ignorare ad esempio il commissario X che, secondo quel breve capitoletto (e ci auguriamo, solo da quello), sarebbe il responsabile dell’ufficio ebraico di ben due questure?
Un funzionario di quella importanza, responsabile di un ufficio di quella levatura, aveva rapporti continui con Gestapo, SD, SS Polizei, Feldgendarmerie, Wehrmacht.
Impossibile non sapere che cosa stesse accadendo agli ebrei ed ai prigionieri politici oltre il Brennero, a meno che non vogliamo pensare ad un funzionario che volesse scaricare la rogna degli ebrei ai tedeschi facendo finta di non sapere.
Il che è forse la risposta peggiore di tutte.
Peggiore dell’odio razziale, della psicopatia, dell’abuso di simpamina e Pervitin (le droghe dilaganti a Salò e nei territori occupati dal Reich millenario), della malvagità umana.
Se quanto scrive lo storico Giannantoni, che consideriamo estremamente affidabile, è vero, il commissario X ha la responsabilità di centinaia di vittime: uomini, donne e bambini morti ad Auschwitz, a Mauthausen, a Dachau, a Bergen Belsen, sui treni della morte, nei campi di transito, ammazzati sulle montagne del confine, mentre cercavano scampo nella Svizzera neutrale, da qualche entusiasta milite fiero di difendere i sacri territori della RSI o da qualche guida desiderosa di rapinare, di violentare, di uccidere.
Ci ritorna alla memoria l’episodio della guardia ausiliaria Francesco Calleri, del Battaglione Mobile di Polizia di Milano, assassinato nel novembre 1944 sul confine, mentre cercava di ricostruire la sorte alla ragazza di cui era innamorato, una profuga ebrea che il giovane poliziotto aveva cercato di fare fuggire in Svizzera, ma che era stata derubata ed assassinata dai passeurs del confine.
Anche Francesco e la sua ignota innamorata sono state vittime del commissario X, anche se indirette. Senza la caccia fatta dalla sezione Ebrei di Milano, lei non sarebbe finita in qualche burrone tra il Comasco e il Ticino e lui non sarebbe morto in un bosco della Valtellina, sepolto in una buca scavata frettolosamente da qualche passeur trasformatosi in assassino.
Le responsabilità del funzionario X purtroppo non sono mai state certificate da un tribunale nel Dopoguerra, ma sono state sbrigativamente punite da una raffica di MAB su un prato incolto.
Non sapremo mai, quindi, quali sarebbe stata la sua difesa, quali le sue giustificazioni e nemmeno se la Repubblica lo avrebbe riammesso nel proprio seno.
Non sapremo mai se la notte, mentre cercava di prendere sonno, al suo letto si sarebbero avvicinate le tante piccole Emma Calò della cui deportazione era responsabile o l’agente ausiliario Francesco Calleri e la sua ignota innamorata, le sue vittime indirette, e le altre centinaia di vittime deportate, torturate, disperse nel vento di Auschwitz.
Quindi, chi era il commissario X? Un mostro, un tranquillo burocrate o uno zelante esecutore di ordini?
La risposta ci fa paura ed è quello che ci fa temere l’apertura del suo fascicolo, perché ci pone di fronte all’ammissione dello storico Christopher R. Browning nel passaggio che abbiamo proposto all’inizio di questo scritto.
Chi era X?
Sono io?
Sei tu?
Fonti principali: “La notte di Salò (1943-1945)” di Franco Giannantoni (Edizioni Arterigere, 2001); “ I carnefici italiani” di Simon Levis Sullam (Laterza, 2010); “Uomini comuni”, di Christopher Browning (Einaudi, 1995)
come sempre diretti, precisi ed estremamente super partes….. complimenti, non è facile trattandosi di argomenti che definire “spinosi” è un eufemismo restarlo, ma voi ci riuscite egregiamente.
Sono indubbiamente situazioni scabrose… In redazione ci siamo più volte domandati se era il caso o no di addentrarsi in un ginepraio come quello della Polizia Repubblicana, quella che probabilmente è stata la polizia più tormentata di tutta la nostra storia. Dare una connotazione certa di “illibatezza” da crimini di guerra è impossibile: in quella polizia confluirono agenti, sottufficiali, ufficiali e funzionari provenienti dalle più disparate (e disperate) situazioni: appartenenti al Corpo degli Agenti di PS che si trovarono dall’oggi al domani a dover decidere se restare sotto il nuovo “padrone” o se darsi alla macchia (e anche qui, c’è chi vi restò per la “pagnotta”, per non trovarsi al fronte o per idealistica convinzione); fascisti della prima ora; sadici psicopatici; meri esecutori di ordini; varie ed eventuali…. Il caso di questo funzionario X è solo uno dei tanti. Al contrario, decretammo la non inseribilità di un altro questore repubblicano, Manlio Candrilli (scheda qui: https://www.cadutipoliziadistato.it/caduti/candrilli-manlio/), passato per le armi nel settembre 1945 dopo un processo che sembrava essere stato condotto nel modo più regolare: uno sgherro riconosciuto responsabile di crimini di guerra da una delle tante Corti d’Assise “Straordinarie” che camuffarono spesso la più bieca voglia di vendetta. Questo funzionario fu poi riabilitato con sentenza della Cassazione 14 anni dopo la sua fucilazione, per “non aver commesso il fatto”.
Siamo altresì consapevoli che tra i più di mille appartenenti alla Polizia Repubblicana e all’Amministrazione della PS della RSI che abbiamo censito finora ci sarà senz’altro qualche altro manigoldo. Dalla nostra abbiamo – spero – l’onestà intellettuale di ammettere i fatti e di riconoscere quando un lupo si è travestito da agnello. O viceversa.