Quando la morte parte da lontano
QUANDO LA MORTE PARTE DA LONTANO
di Gianmarco Calore
Nella ricostruzione delle vicende che hanno portato alla scomparsa di tantissimi nostri Fratelli ci siamo imbattuti spesso in quelli che abbiamo definito “destini incrociati”.
La tragica morte dell’Ispettore Superiore Rosario Sanarico è una di queste.
Tutto parte da molto lontano, sia temporalmente che geograficamente.
Padova, sera del 14 gennaio 2016. Isabella Noventa viene vista per l’ultima volta a cena in una pizzeria cittadina in compagnia di un amico, Freddy Sorgato. Cenano tranquillamente occupando un tavolo proprio nei pressi del forno per le pizze, poi, verso le 22:30, lasciano il locale. Da quel momento Isabella scompare nel nulla.
Una scomparsa anomala, la sua: il suo accompagnatore dice di essersi intrattenuto a casa sua con la donna, e di averla poi accompagnata su sua richiesta in una piazza del centro dove si sarebbe dovuta incontrare con una non meglio identificata amica. L’uomo sarebbe poi andato a ballare per conto suo in un locale vicino casa. Le telecamere di sicurezza immortalano l’Audi bianca di Sorgato transitare in almeno due punti della città, mentre una donna – apparentemente Isabella – viene registrata mentre cammina lungo piazza dei Signori dirigendosi verso la vicina piazza delle Erbe. Piazza in cui non arriverà mai, almeno a guardare i filmati. Le certezze vacillano fin da subito: il fratello e l’ex marito di Isabella non la riconoscono, sebbene immortalata solo di spalle e col cappuccio del giubbotto bianco ben calcato sulla testa; non la riconoscono né per l’andatura, né per l’altezza, né tantomeno per il tipo di calzature indossate dalla donna del filmato.
Inoltre Isabella ha lasciato a casa sua la propria inseparabile borsa con i documenti e i due telefoni cellulari, altro particolare che non depone verso la prima spiegazione data nell’immediatezza della scomparsa: quella dell’allontanamento volontario. Tra l’altro, Isabella è legatissima all’anziana madre, con la quale è tornata a convivere dopo la chiusura del suo matrimonio, e che necessita di assistenza quotidiana.
Le indagini si fanno serrate, vengono analizzate tutte le “pieghe” di una vita abbastanza tormentata, fatta soprattutto di denunce per stalking presentate a più riprese da Isabella nei confronti di un’altra donna, Emanuela Cacco, con la quale Freddy ha una relazione da tempo. Ulteriori accertamenti portano in luce retroscena che coinvolgono anche la sorella di Freddy, Debora, legatissima al fratello e contraria al legame ancora esistente tra lui e Isabella.
Alla fine, esattamente un mese dopo la scomparsa della donna, la sera del 16 febbraio al termine di un interrogatorio che ha “pressato” per più di 12 ore i tre soggetti coinvolti, evidenziandone menzogne e depistaggi, scatta il fermo di polizia giudiziaria con l’accusa di omicidio volontario in concorso e occultamento di cadavere.
Già…il cadavere…proprio l’unico anello che manca per chiudere il cerchio in modo completo. Perchè di corpi ritrovati, ancora non se ne parla. E nessuno dei tre ammette nulla, trincerandosi dientro un silenzio incrollabile. Si lavora quindi per intuizioni: la casa di Freddy, quella dove dovrebbe essere stato compiuto il delitto, è a pochi passi dal fiume Brenta. Appare più che verosimile che il corpo sia stato buttato lì dentro. Quasi contemporaneamente Freddy fa una prima ammissione: Isabella è morta nel corso di un gioco erotico estremo finito male. Lui, preso dal panico, ha zavorrato il cadavere gettandolo nel fiume. Arriva a indicarne perfino il punto preciso. Sembra fatta, ma non è così. Il fiume viene subito scandagliato con l’ausilio dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco: per esperienza si sa che ogni corpo gettato in acqua, prima o poi riaffiora. Passano i giorni, ma di cadaveri in acqua, zero spaccato. In compenso, fioccano continui i falsi allarmi per avvistamenti strani, in genere sacchetti della spazzatura galleggianti.
Il fiume Brenta è una bestiaccia. Apparentemente placido e tranquillo, nasconde pericolosissime insidie costituite dal fondale pieno di radici e vegetazione in cui è facile incagliarsi, e da improvvisi vortici e gorghi che trascinano sul fondo qualsiasi cosa. E’ un fiume che nel corso degli anni ha mietuto tantissime vittime, due nel solo ultimo anno. La sua corrente porta verso la confluenza con un altro fiume, il Bacchiglione, con il quale si interseca tra Noventa Padovana e Stra, ai confini tra le provincie di Padova e Venezia. Qui sorge una delle tante dighe foranee che regolano i livelli dell’acqua sia per consentire il transito delle imbarcazioni dirette verso Dolo, Mira e Venezia, sia per proteggere la città dalle eventuali ondate di piena.
A questo punto si decide di ricorrere ai “pezzi grossi” del settore subacqueo: i Sommozzatori del Centro Nautico e Sommozzatori della Polizia di Stato di La Spezia. Ed è qui che il destino chiama in gioco l’Ispettore Superiore Sanarico. E’ uno dei sub più esperti, ha collaborato a più riprese con i nostri NOCS e con le polizie straniere sia per operazioni di ricerca che per attività di bonifica e protezione in occasione di grandi eventi internazionali. E’ particolarmente esperto nelle ricerche in ambienti pericolosi: l’ultima lo aveva visto districarsi tra gli stretti cunicoli sommersi della nave “Costa Concordia”, arenatasi all’Isola del Giglio.
Sanarico arriva a Padova la mattina del 18 febbraio assieme ad altri 3 colleghi parimenti esperti e con tutta l’attrezzatura prevista per la ricerca di corpi in acqua. La zona delle ricerche viene circoscritta proprio nel bacino antistante la diga foranea di Stra: l’analisi delle correnti fluviali di quei giorni fa dire agli esperti che il corpo non può essere stato trascinato oltre. Il dispiegamento di forze in campo è notevole: oltre ai sub di La Spezia continuano a collaborare quelli dei Vigili del Fuoco mentre volontari della Protezione Civile battono le rive alla ricerca di qualche traccia; dall’alto un elicottero della Polizia di Stato perlustra incessantemente il corso del fiume, da Padova fino a Valli di Chioggia ove esso sfocia in laguna.
Le immersioni si susseguono rapide, in continua alternanza di uomini, senza alcun risultato.
19 febbraio 2016, ore 16:40.
E’ una meravigliosa serata invernale, il sole sta rapidamente tramontando alle spalle dei Colli Euganei inondando il cielo di fiammate gialle, arancioni, vermiglie. Sul fronte delle ricerche del corpo di Isabella si profila l’ennesima sosta in vista della notte. Alla diga foranea di Stra i Vigili del Fuoco stanno issando sul carrello il loro gommone. In acqua resta quello della Polizia. Rosario Sanarico decide di compiere un’ultima perlustrazione proprio a ridosso dello sbarramento della diga: si cala in acqua legato alla sagola di sicurezza manovrata dal collega che rimane sull’imbarcazione e si immerge. Sul fondo, ai lati dello sbarramento mobile costituito da due grossi portoni in acciaio, ci sono quattro tubi regolati da una turbina: servono per riempire o svuotare il bacino di transito delle imbarcazioni che devono proseguire verso Venezia, dal momento che tra le due provincie c’è un dislivello dell’acqua di più di cinque metri.
Cosa sia successo, ancora oggi non è chiaro. C’è chi parla di un’improvvisa attivazione di una turbina (il cui timer non era stato disattivato), c’è chi arriva a indicare perfino una disattenzione del sub. In ogni caso, improvvisamente la sagola tenuta in mano dal collega in superficie si tende come una frusta facendo compiere al canotto un’improvviso balzo in avanti, tanto forte da farlo schiantare contro le murate in cemento della barriera. Il collega si salva per miracolo. Ne seguono grida di aiuto. Tutti si precipitano in acqua, i Vigili del Fuoco calano di nuovo il loro battello, tutti si aggrappano a quella sagola tirando come muli. Ma sembra agganciata a un sasso, non si riesce a tirare su niente. Sanarico resta in queste condizioni per più di mezz’ora, trascorsa la quale viene riportato in superficie. Sul posto c’è già l’ambulanza medicalizzata: il poliziotto è incosciente ma ancora vivo. Iniziano le manovre di rianimazione avanzata: non appena l’attività cardiaca sembra stabilizzarsi viene caricato a bordo dell’ambulanza e trasportato sotto scorta all’ospedale di Padova dove in area rossa lo sta attendendo un’equipe munita di un’apposito macchinario del Centro Iperbarico utilizzato proprio nei casi di annegamento.
La notizia dell’incidente fa il giro del mondo in un amen. La Polizia di Stato fa fronte comune e in ospedale arrivano decine di colleghi, molti dei quali fuori servizio. Si staziona diligentemente fuori dal pronto soccorso in attesa di notizie certe. Arrivano il Questore, il Vicario, i Funzionari e Ufficiali delle principali articolazioni della Pubblica Sicurezza cittadina. Il Questore si intrattiene a lungo con i medici, la sua faccia è cerea e non fa presagire nulla di buono… Attendiamo tutti, in attesa di un miracolo. Che non avviene. Poco prima di mezzanotte viene dichiarata la morte cerebrale di Rosario Sanarico, viene dato il via per quella che in gergo viene chiamata “la conta”, prima di staccare le macchine che stanno fornendo all’uomo una vita artificiale. E’ finita. Occhi lucidi, visi tirati, verso le 2 si fa rientro a casa.
Così è morto l’Ispettore Superiore Rosario Sanarico: facendo il suo lavoro in modo competente e professionale. L’inchiesta subito aperta indica come spiegazione un incidente, una fatalità. Ma nessuno di noi sta pensando che questa morte peserà sulla coscienza di chi si è rifiutato di dire esattamente dov’è il corpo di Isabella Noventa, che alla data odierna non è stato ancora trovato. Bastava confessarlo e almeno una vita sarebbe stata risparmiata.
Da queste pagine non vogliamo dare la stura ad altre inutili polemiche.
Vogliamo soltanto ricordare questo grande Collega e abbracciare virtualmente la sua Famiglia così duramente provata.
Per la redazione di Cadutipolizia: Gianmarco Calore