Una tomba tra le colline
UNA TOMBA TRA LE COLLINE
di Gianmarco Calore e Fabrizio Gregorutti
Tante, troppe volte in tutti questi anni ci siamo imbattuti in poliziotti dei quali non si è saputo che poco o niente: una data di morte, una foto in uniforme, un rigo in cronaca sbiadita dal tempo.
Tante, troppe volte ci siamo dovuti arrendere dopo mesi di ricerche, alcune delle quali ci hanno portato a un passo dalla verità, senza tuttavia fornirci quella “pistola fumante” che ci consentisse di attribuire la loro morte a una causa di servizio; altre invece ci hanno negato comunque la possibilità di inserire il Caduto in questo sacrario virtuale, magari per un cavillo.
In casi come questi subentra sempre un senso di frustrazione, resa ancora più cocente da soventi “dimenticanze” istituzionali che già nell’immediatezza dell’evento consegnarono la memoria di questi ragazzi all’oblio.
Il suo nome è Vincenzo Zanier.
Nasce il 25 gennaio 1927 a Sequals, un paesino allora in provincia di Udine, oggi invece in provincia di Pordenone, ai piedi delle prime alture che annunciano le Prealpi, famoso per avere dato i natali al grande (sotto tutti i punti di vista) Primo Carnera, l’unico pugile italiano ad avere mai vinto un campionato dei massimi.
Nasce in un periodo di forti spinte sociali contrastanti e di altrettanto impetuosi fermenti: Mussolini ha già fatto la sua “marcia” su Roma, Matteotti è già stato assassinato, il governo fascista si sta imponendo sullo scenario internazionale.
Quando il 10 giugno 1940 il Duce condanna l’Italia al peggiore disastro, Vincenzo ha 13 anni: a quei tempi, un ragazzino nemmeno adolescente destinato a essere già uomo. Nelle famiglie patriarcali di campagna dovevi crescere in fretta: campi da arare, piante da seminare, bestie da accudire…. e poi, la vendemmia, lo sfalcio dei prati, la dura vita di tutti i giorni che iniziava sempre alle 4 per finire ben dopo il tramonto, la schiena a pezzi e poco o niente da mangiare. Alla faccia dei proclami, alla faccia dell’Impero…
E’ sempre stata la vita dei contadini friulani, dal tempo dei longobardi all’era littoria. Tutto appare immutabile come sempre, con poche eccezioni, come il ritorno a casa di Primo Carnera. Forse c’è anche il piccolo Vincenzo, allora di sei anni, tra i piccoli Figli della Lupa di Sequals in divisa di orbace nero ripresi dal cinegiornale Luce che accolgono l’illustre compaesano nel 1933, durante la tappa friulana del suo trionfale tour italiano.
Ma è un’eccezione, appunto. Uno sprazzo di felicità in una vita difficile, interrotta da quelle parole provenienti dalla radio, diffusa dagli altoparlanti del municipio di Sequals
“Italiani, di terra, di mare e dell’aria!”
La guerra fa il suo corso, aggiungendo privazioni a privazioni. Probabilmente Vincenzo vede i suoi fratelli e i suoi amici più grandi partire per il fronte infagottati in anacronistici pastrani verdi: di sicuro molti di essi non li vede più tornare a casa.
Quando l’Otto settembre 1943 la radio dà la notizia dell’armistizio, nel casale di campagna dove vive Vincenzo si scatena la gioia per la fine di un incubo. Canti, balli, abbracci…. tranne il vecchio nonno che, seduto in un angolo dell’aja, fuma la pipa bofonchiando bestemmie in lingua friulana tra una boccata e l’altra: “no sin a čhase cul čhâr dal fen”, non è ancora finita…..
E infatti stavolta tocca alla guerra civile che si scatena dopo la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, con i tedeschi a far da padroni dietro a un Duce fantasma di se stesso e manovrato a loro uso e consumo. Una guerra ancora peggiore di quella “regolare”, alla quale in qualche modo ci si era abituati. Adesso no, non ci si può abituare ai rastrellamenti e alle angherie di un esercito ai suoi rantoli finali. Gli alleati che non arrivano, i regolamenti sempre più stringenti per impedire qualsiasi rigurgito di ribellione. Le case vengono saccheggiate, le persone spariscono improvvisamente, nessuno è più al sicuro nemmeno quando si viene fermati da una pattuglia “crucca”, con la quale ci sono perfino le più elementari difficoltà di capirsi. E se non sono i tedeschi, sono gli italiani esaltati a completare l’opera: gente che si è gettata tra le braccia naziste confluendo nelle loro formazioni, schifata dagli stessi fascisti per la sua crudeltà.
Si può andare avanti cosi?
Questa domanda se la pone di sicuro anche Vincenzo, appena adolescente. Conosciamo la data della sua scelta: il 6 ottobre 1944 il giovane uomo appena diciassettenne confluisce nelle formazioni partigiane attive nella sua zona.
Viene assegnato ad uno dei battaglioni del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile clandestina del PCI appartenente alla Divisione Garibaldi – Sud Arzino, attiva tra le prime colline e le Prealpi Pordenonesi.
Sarebbe interessante scoprire se Vincenzo appartenga ad una famiglia di fede politica di sinistra, una piccola macchia “rossa” in una regione “bianca”, presente sin dalla fine del XIX Secolo (ed in quel caso sicuramente non ha salutato Carnera indossando l’orbace) oppure se si sia convertito alla rivoluzione vista come riscatto sociale da un’atavica vita di sacrificio e di fame.
Ciò che sappiamo però, è che Vincenzo è un ragazzo coraggioso. Le unità del Fronte della Gioventù sono gruppi di giovanissimi che nelle retrovie si occupano dell’intelligence e delle azioni di sabotaggio. Non sono compiti facili, tutt’altro. Tagliare un filo del telefono, segnare la targa di una macchina privata che parcheggia dinanzi al comando della Wehrmacht o segnalare chi tra i civili italiani entra in contatti con i tedeschi sono compiti che possono costare la deportazione in Germania o la stessa vita.
Ma Vincenzo sopravvive. Sopravvive agli scontri con fascisti, i nazisti ed i cosacchi, ai quali Hitler ha fatto dono della regione italiana della Carnia, sopravvive a una vita durissima tra i monti friulani, sapendo di avere fatto la scelta giusta, che tra poco arriveranno gli americani. E la storia gli dà ragione.
A guerra finita si torna a casa, una medaglietta appuntata al bavero della giacca e la consapevolezza di avere fatto il proprio dovere. Ci piace pensare che quest’ultimo aspetto, maturato tra i suoi compagni ove lo spirito di Corpo era molto spesso l’unica vera arma a disposizione, sia stato la scintilla che lo porta in un giorno imprecisato dell’estate 1945 ad arruolarsi in Polizia: anche qui non sappiamo se il ragazzo fosse prima confluito nelle varie formazioni di Polizia del CLN o se abbia approfittato dei primi bandi di arruolamento in cui si privilegiò l’assunzione degli ex partigiani. Molto probabilmente, entrambe le cose. Nel giugno 1945 gli Alleati decidono di porre termine al caos delle Polizie postbelliche, anche per mettere la parola “fine” alle vendette indiscriminate dell’estate 1945 ed agli abusi di cui alcuni agenti delle Polizie si rendono responsabili in quei giorni.
Non è difficile immaginare quale sia stata la carriera di Vincenzo nella fase di transizione tra Monarchia e Repubblica, quando Vincenzo passa dalla Polizia Ausiliaria alla nuova Polizia. Il Corpo delle Guardie di P.S. gli dà una nuova uniforme, un alloggio, un vitto e la perenne sensazione di precarietà. Sì, perchè Vincenzo diventa guardia aggiunta, con una ferma minima di un anno e con rafferme non garantite. Meglio di niente, comunque.
Ma in ambito politico la figura dei partigiani in Polizia non è stata vista con favore da molti, tantopiù che gli ex fascisti burocraticamente gettati dalla finestra stavano già facendo rientro dalla porta: una situazione schizofrenica che nelle caserme porterà a momenti di tensione anche molto elevati, in una difficile e forzata coesistenza. A Roma il 2 febbraio 1947 al vertice del Ministero dell’Interno arriva Mario Scelba: il suo fervore anticomunista lo porta subito a invertire la rotta fino ad allora adottata nei criteri di arruolamento nelle Forze dell’Ordine. Fuori i partigiani, dentro gli altri.
Iniziò quindi un lungo periodo di vere e proprie epurazioni: moltissime guardie aggiunte non furono raffermate, quelle che lo furono dovettero subire vere e proprie angherie che oggi si chiamerebbero mobbing. Vita da caserma impossibile, orari di servizio massacranti, ma soprattutto la “spada di Damocle” dei trasferimenti d’ufficio da un capo all’altro del Paese adottata come metodo infallibile per ottenere il proscioglimento del soggetto “indesiderato”.
Vincenzo Zanier riesce in qualche modo a schivare le prime epurazioni. Vuole mantenere quel lavoro a tutti i costi, a casa bisogna mandare i soldi e per questo stringe i denti e sopporta tutto. Sopporta anche il trasferimento a Brindisi, ad anni-luce dal suo paesino, in tempi nei quali un viaggio del genere costava giorni di treno: è qui che lo troviamo nel 1948, in servizio presso l’ufficio del porto, impegnato nel controllo dei battelli e dei suoi occupanti. I confini della vita professionale per una guardia aggiunta erano angusti, fatti prevalentemente di servizi di corvèe, estenuanti turni giornalieri di caserma: vigilanza, pulizie, cucina…. tutto ciò che non ci si aspettava da un poliziotto. Ma Vincenzo è un friulano tosto e tiene duro.
Brindisi, 10 novembre 1948: Vincenzo Zanier trova la morte all’età di 21 anni. Muore nel modo più incredibile, vinto da quello che la sua cartella indica come “ileotifo”, una febbre tifoide gastroenterica causata da un batterio che subdolamente si è insinuato nel suo corpo. Un giovane che ha evitato pallottole e schegge di bomba soccombe per un invisibile piccolo bastardo, contratto a causa delle condizioni igieniche in cui si dibatteva l’Italia del dopoguerra. La pratica del giovane Vincenzo è stata curata bene, com’era nella prassi dell’epoca: vengono esperite accurate indagini da parte del Ministero il quale, non riscontrando gli estremi dell’epidemia (nel 1948 nel Brindisino i casi di febbre tifoide furono “solo” 5), gli nega il riconoscimento del decesso come dipendente da causa di servizio.
Cimitero di Sequals (PN), 2018.
Grazie al “fiuto” di un nostro collega riceviamo la foto di una tomba. Qualcuno viene ancora a sistemarla, ci sono fiori freschi e la mancanza di quell’abbandono che caratterizza tante vecchie tumulazioni. C’è una foto di un ragazzino con indosso l’Uniforme grigioverde da Poliziotto: è Vincenzo Zanier. Mani pietose hanno vergato sulla lastra di marmo queste parole:
“Patriota convinto e fedele, agente coraggioso facevasi stimare ed amare da chiunque sopportò con amore i disagi che comporta la vita partigiana e della polizia immolando così nel compimento del suo dovere a Brindisi la sua fiorente giovinezza. Riposa caro Vincenzo accanto a chi ti precedette nel sacrificio della vita per il benessere della Patria. I genitori, il fratello e le sorelle i parenti e gli amici addolorati ed inconsolati posero”.
La tomba è sicuramente più recente rispetto alla data di decesso: è verosimile che il giovane sia stato tumulato provvisoriamente in Puglia e successivamente traslato al suo paese natale.
Questo ragazzo resta come emblema degli immani sacrifici di chi si è trovato uomo senza essere stato bambino; di tutti quei poliziotti che furono vessati per i loro natali “non graditi”. Non possiamo dimenticarcene.
Per la Redazione Cadutipolizia: Gianmarco Calore e Fabrizio Gregorutti
Fonti:
- si ringrazia l’Ufficio Pensioni del Ministero dell’Interno per la collaborazione offerta nelle ricerche;
- si ringrazia la Sezione A.N.P.I. di Udine per la cortesia e disponibilità nella ricostruzione dell’attività partigiana del giovane Zanier.