I FANTASMI DI HEILBRONN (II^ parte)
I FANTASMI DI HEILBRONN
(II^ Parte: Untergrund. Germania. Novembre 2011/novembre 2019)
“Mi disgustano molte cose della vostra brava gente, e non mi riferisco certo alla loro malvagità.
Come vorrei che fossero presi da una pazzia che li portasse alla distruzione, come questo criminale pallido. Davvero, vorrei che la loro pazzia fosse chiamata verità, o lealtà, o giustizia: invece la virtù serve loro solo per vivere a lungo e in meschina agiatezza”
Friedrich Nietzsche
Novembre 2011. Land della Turingia, Germania.
Il covo della NSU a Zwickau
(da Wikipedia)
Con il suicidio dei due terroristi ad Eisenach, il caso dell’omicidio dell’agente Kiesewetter sembra giungere ad una soluzione, dopo quattro anni di indagini improduttive e di false piste. Ora l’attacco di Heilbronn si lega strettamente ai delitti della Ceska 83.
Gli investigatori tedeschi iniziano ad analizzare le vite e le opere di Uwe Böhnhardt e Uwe Mundlos, i due skinheads suicidatisi ad Eisenach e della compagna del primo, Beate Zschäpe, la quale si costituisce alla Polizia pochi giorni dopo.
Beate Zschäpe, Uwe Böhnhardt e Uwe Mundlos
(da Wikipedia)
La ragazza confessa agli agenti di essere stata lei ad appiccare il fuoco alla casa di Zwickau, nell’inutile tentativo di cancellare le prove. Ma, cosa più importante, racconta la nascita, la vita e la morte del gruppo terroristico di cui faceva parte, insieme a Böhnhardt e Mundlos.
I tre sono gli scarti della riunificazione tedesca. Böhnhardt, nato nel 1977 a Jena, figlio di un insegnante ed un’ ingegnere, cresciuto in uno squallido quartiere di periferia, è entrato ed uscito dalla galera dall’età di quindici anni per furti, rapine ed aggressioni sino a che, intorno alla metà degli anni ’90, ha cominciato a frequentare l’ambiente degli skinhead. Beate Zschäpe, classe 1975, è figlia di una ragazza madre, con la quale ha avuto sempre un rapporto conflittuale. La sua vita è proseguita tra alti (pochi) e bassi (tanti). Chi l’ha conosciuta bene la definisce rozza e volgare, quella che in italiano si definirebbe una cafona.
Ma è forse Uwe Mundlos il personaggio più interessante.
Classe 1973, è figlio di un professore universitario e di un’impiegata. Durante la DDR è stato membro della Gioventù Comunista poi, alla caduta del Muro, si è rivolto ad un’altra ideologia totalitaria, entrando nel mondo dell’estrema destra.
Nel 1994, durante il servizio militare nella Bundeswehr, si è fatto riconoscere per le sue simpatie neonaziste tanto da finire più volte in punizione ed essere interrogato dai servizi segreti militari tedeschi, il MAD. Nell’interrogatorio, gli ufficiali dei servizi cercano di convincere Mundlos a collaborare con loro, nella speranza di evitare attentati e crimini dell’odio da parte dell’estrema destra. Mundlos non dice nulla. Si limita a mandare all’inferno i suoi interlocutori. Il MAD, a sua volta, si limiterà a compilare un rapporto sull’avvenuto contatto che, per questioni burocratiche, verrà distrutto quindici anni dopo.
Mundlos non avrà grandi problemi dall’inchiesta. Concluderà il servizio militare con il grado di caporale, la qualifica di tiratore scelto e la divertita certezza di avere fregato tutti.
Nel 1995 Uwe Mundlos è ormai in guerra contro la democrazia tedesca. Da anni conosce Böhnhardt e Zschäpe e con loro inizia a compiere attentati dinamitardi in giro per la Turingia.
Nel 1998 i tre riescono a sfuggire ad una retata della Polizia e si danno alla latitanza. E’ la nascita del gruppo terroristico Nationalsozialistischer Untergrund o NSU, cioè Clandestinità Nazionalsocialista, forse la formazione eversiva più pericolosa della Germania dopo il gruppo terrorista di estrema sinistra della Rote Armee Fraktion che negli anni ’70 cercò di destabilizzare la Repubblica Federale.
(fonte Die Zeit)
Il 6 maggio del 2000 gli agenti del LfV della Turingia stanno sorvegliando un’abitazione di Chemnitz, l’ex Karl-Marx Stadt, quando notano un ragazzo sospetto. Hanno il dubbio che possa trattarsi del latitante Böhnhardt, ma non ne hanno la certezza dato che lo skinhead si è reso quasi irriconoscibile, facendosi crescere i capelli di pochi millimetri.
Solo giorni dopo gli agenti si decideranno a mandare la foto del giovane sospettato alla BfV federale e scopriranno che quel giovane è davvero Böhnhardt.
Ormai è tardi. Le Forze di Polizia hanno perduto l’occasione migliore per catturare gli skinhead trasformatisi in terroristi.
L’ultima, prima del grande terrore.
Una pistola Ceska CZ83
Il 9 settembre 2000 è un sabato ed Enver Şimşek sta lavorando nel proprio negozio di fioraio, alla periferia di Norimberga. Enver è un brav’uomo ed un gran lavoratore, padre di due figli, benvoluto nel quartiere. E’ emigrato dalla Turchia dal 1986 e si è integrato bene nella società tedesca, tanto da ottenerne la cittadinanza. Ed è lì, nel suo negozio, che viene ucciso a colpi di pistola da Böhnhardt e Mundlos. Una delle armi è una Ceska CZ83 calibro 7,65. Gli assassini fuggono poi con due biciclette che hanno posteggiato all’esterno del negozio.
Enver è la prima vittima del NSU. Fino all’omicidio di Michèle Kiesewetter altri sette cittadini turchi o tedeschi di origine turca ed un cittadino greco, per la maggior parte negozianti, verranno uccisi a colpi di pistola, in una lenta strage durata sette lunghi anni. In tutti i nove omicidi verrà sempre usata la stessa arma, la Ceska 83, e la lunga serie di delitti verrà soprannominata Ceska-Mordserie, letteralmente “Gli omicidi seriali della Ceska”. Forse un po’ brutale, ma sempre meglio del quasi irridente “Donermorder” (“Omicidi dei Kebab”) come qualcuno definisce la serie dei delitti.
La comunità turca è terrorizzata da questo massacro ed in vari incontri con la stampa e con la Polizia parla esplicitamente di omicidi di stampo neonazista. Le varie Polizie che indagano (i delitti sono distribuiti su cinque diversi Land) si muovono su piste diverse, ad eccezione di quella politica. Si parla della mafia turca, anche se nessuno degli uccisi è coinvolta nella criminalità e in risposta a chi, tra familiari degli assassinati e giornalisti, sostiene la pista dell’estrema destra, viene risposto che “quando mai si sono visti dei neonazisti scappare in bicicletta?”
Ma nella strage strisciante dei delitti della Ceska c’è spazio ancora per un altro mistero, raccontato da un incredibile e sconvolgente articolo del settimanale “der Spiegel” del 3 settembre 2012.
Il 6 aprile 2006 la NSU uccide il giovane Halit Yozgat, gestore di un internet café nella città di Kassel, nel Land occidentale dell’Assia. All’interno del locale, ad assistere alla scena, c’è un tizio che si è dato alla fuga subito dopo l’attacco dei terroristi. Un testimone prezioso, quindi. Sicuramente, da bravo cittadino tedesco, si presenterà alla Polizia per riferire quanto ha potuto vedere, giusto?
Sbagliato. Il tizio non si fa vedere.
La Polizia di Kassel riesce a scoprire la sua identità dopo alcuni giorni ed è una sorpresa.
Il testimone è un funzionario dell’ LfV dell’Assia il quale però non collabora con gli inquirenti, accampando scuse risibili sulla sua presenza nell’internet caffè (a suo dire, cercava di rimorchiare donne online). La Polizia di Kassel sospetterà per settimane un suo coinvolgimento nel delitto, anche perché il funzionario è un simpatizzante di estrema destra, tanto da essere noto nel suo quartiere come “il piccolo Adolf”. Dalle perquisizioni effettuate dalla Polizia a casa dell’uomo dei servizi non emergerà nulla, a parte del ciarpame neonazista e un piccolo quantitativo di hashish, ma la Polizia di Kassel continuerà ad avere dubbi sul funzionario e lamenterà sempre l’assenza di collaborazione da parte dello stesso LfV dell’Assia.
L’unico risultato dell’indagine sarà il trasferimento del “piccolo Adolf” nel settore amministrativo e la sua fine come agente operativo.
le vittime della NSU
Ma la chiave di volta dei misteri dell’Untergrund è l’omicidio dell’agente Michèle Kiesewetter a Heilbronn. Agli inquirenti e poi al processo Beate Zschäpe dirà che Mundlos e Böhnhardt hanno attaccato la volante 523 nel parco di Theresienwiese per rubare le armi degli agenti. Il pubblico ministero, al processo di Monaco di Baviera contro Beate Zschäpe ed alcuni membri minori della NSU sosterrà questa tesi, aggiungendo che i terroristi, con l’agguato agli agenti Kiesewetter e Arnold, volevano attaccare lo Stato.
Va bene. La soluzione del caso dal punto di vista giudiziario è che, ad uccidere la Polizeimeisterin Michèle Kiesewetter ed a ferire gravemente il Polizeimeister Martin Arnold, sono stati i due neonazisti Böhnhardt e Mundlos.
Ma perché proprio ad Heilbronn e perché proprio quegli agenti tra oltre 200.000 poliziotti tedeschi? Non era più facile attirare una pattuglia in un agguato portandola ad intervenire con una falsa chiamata al 110, il numero di pronto intervento tedesco? E poi, perché proprio l’agente Michèle Kiesewetter? Perché è chiaro che non si sia trattato di una casualità: il bersaglio era lei e il collega Martin Arnold è finito in mezzo per sua sola sfortuna. Anni dopo, la commissione di inchiesta del Land della Turingia sui crimini della NSU, se ne dirà convinta.
Non può essere infatti casuale che due terroristi turingi decidano di affrontare 450 chilometri di strada, attraversando la Germania da un estremo all’altro, per uccidere un’agente di Polizia originaria della loro stessa regione.
Ricordiamoci che subito dopo il delitto lo zio di Michèle, Mike, agente della LfV turinga, invitò gli inquirenti che indagavano sull’omicidio della nipote a seguire la pista dei delitti della Ceska, tracciando un collegamento con Heilbronn al quale nessuno aveva mai pensato. Da che cosa avesse tratto quelle certezze, lo zio Mike non lo ha mai rivelato. Sicuramente sono frutto di confidenze di informatori nell’affollato sottobosco neonazista turinga ma, almeno sino ad oggi, l’agente Mike non ha mai voluto raccontare da che cosa ricavò le sue certezze.
Il BKA, l’FBI tedesco, cerca di dare una risposta e, nel corso di un’audizione del 2012 presso il Bundestag, il Parlamento di Berlino, il direttore Jörg Ziercke ipotizza, tra le tante teorie proposte, che vi sia stata una possibile relazione sentimentale tra Michèle e Uwe Böhnhardt.
Una pista interessante e sconvolgente allo stesso tempo. Peccato però che il direttore Ziercke non sia in grado di fornire alcuna prova sulla presunta storia tra la poliziotta ed il terrorista (latitante dal 1998, è il caso di ricordarlo, quando Michèle aveva appena 14 anni) anche quando la famiglia della poliziotta assassinata lo sollecita invano a fornire prove o a chiedere scusa.
E’ un duro colpo per la credibilità del BKA ed è incredibile (ci si perdoni il gioco di parole) che un poliziotto di razza come Ziercke, dalle indiscutibili professionalità e lealtà istituzionale, sia incorso in un simile infortunio anche soltanto ipotizzando una pista investigativa.
Nel novembre 2011 qualcun altro afferma che anni prima Beate Zschäpe abbia lavorato brevemente nel ristorante gestito dal patrigno di Michèle. Herr Kiesewetter nega furiosamente (e ci mancherebbe) ma anche qui non c’è nessuna prova che attesti questa presunta coincidenza.
A più di un decennio dalla sua morte, nessuno è riuscito a trovare una prova che metta in dubbio ciò che sapevano la famiglia di Oberweissbach e quella dei colleghi di Boblingen: Michèle era una brava ed onesta poliziotta e sarebbe diventata una grande agente che avrebbe fatto continuato a rendere onore alla Polizia del Baden Württemberg .
Questa è la realtà, che nessuno può contestare.
Chi probabilmente si avvicina di più alla verità è la seconda commissione d’inchiesta della Turingia sui terroristi della NSU, la quale nelle proprie conclusioni, presentate nell’ottobre 2019, ipotizza che la ragione del delitto stia nei contatti che Michèle ha avuto per servizio con gli estremisti di destra, nei quali potrebbe avere appreso qualcosa sulla NSU.
La Commissione critica le indagini, stigmatizzando gli errori degli investigatori, a partire dalla sottovalutazione della NSU prima degli omicidi della Ceska. A differenza del Tribunale di Monaco di Baviera, che ha spedito all’ergastolo Beate Zschäpe, sulla base di prove inoppugnabili, la commissione ritiene che il nucleo della NSU fosse ancora più ampio, addirittura un’ intera rete di militanti neonazisti.
La Commissione turinga lascia molte domande aperte alle quali se ne aggiungono altre che da anni assillano investigatori, giornalisti e semplici cittadini: a chi appartengono le tracce di DNA di almeno sei persone ritrovate ad Heilbronn? Perché Mundlos e Böhnhardt hanno conservato per ben quattro anni i pantaloni da jogger macchiati del sangue di Michèle? Chi ha informato Beate Zschäpe della morte dei suoi complici, permettendole di dare fuoco all’abitazione di Zwickau? Perché dopo l’assassinio di Michèle Kiesewetter la NSU smise di uccidere e si limitò a delle rapine in banca? E infine: per quanto gravemente ferito, l’agente Martin Arnold, il collega di Michèle, è riuscito a riprendersi, a ritornare in servizio dopo alcuni mesi ed a fornire una buona testimonianza al processo di Monaco di Baviera contro la NSU, nonostante alcuni frammenti della sua memoria non siano mai più tornati al loro posto. Ebbene, Martin non ha mai riconosciuto Mundlos e Böhnhardt nei suoi aggressori.
Certo è possibile che Arnold ricordi male, anche a causa della terribile ferita subita, ma è altrettanto possibile che la sua memoria non sbagli e che gli assassini non siano Mundlos e Böhnhardt ma altri due terroristi mai identificati.
Rimangono le parole della famiglia della Landespolizei del Baden-Württemberg, che non ha mai dimenticato Michéle.
Come scriverà sul suo canale Twitter la Polizia di Heilbronn il 25 aprile 2019
“E una volta all’anno, il tempo si ferma. Riposa in pace, Michèle. Rimane solo una domanda: perché?”
E le parole rivolte dall’avvocato della madre di Michèle a Beate Zschäpe durante il processo
“Michèle adorava il suo lavoro, era una brava poliziotta. Oggi avrebbe 33 anni, avrebbe fatto sicuramente carriera e si sarebbe fatta una famiglia. Ora è morta. E’ rimasta una famiglia disperata, signora Zschäpe. Ci pensi!”.
L’unica superstite della NSU non ha mai risposto.
Beate Zschäpe tra i suoi avvocati durante il processo di Monaco di Baviera
Il nostro racconto termina qui, senza soluzioni e senza risposte alle troppe domande. Tranne una sola, la più amara: questa volta i Malvagi hanno vinto.
I terroristi del NSU durante la loro guerra contro la democrazia tedesca hanno fatto emergere le contraddizioni della Repubblica Federale, umiliando la Polizia ed i servizi di sicurezza e provocando la sfiducia di molti cittadini tedeschi, non solo di origine straniera, nei confronti delle istituzioni considerate come incompetenti e negligenti quando non addirittura conniventi. Il suicidio dei due skinhead (se di questo si è trattato, visto che in molti hanno avanzato dei dubbi sulle circostanze della loro morte) e la distruzione dell’Untergrund non cancella la realtà della loro terribile vittoria.
I fantasmi dell’atroce passato tedesco continuano a vagare nei viali del parco di Heilbronn e probabilmente lo faranno per sempre.
Fonti principali consultate: (in lingua tedesca)
https://www.stern.de/politik/deutschland/nsu-prozess/
https://www.sueddeutsche.de/politik/nsu-prozess-warum-wurde-michele-kiesewetter-getoetet-1.3791322
https://www.spiegel.de/spiegel/print/d-87997161.html