I FANTASMI DI HEILBRONN
I FANTASMI DI HEILBRONN
(I^ parte: l’assassinio dell’agente Michèle Kiesewetter, Germania 2007-2011)
Legenda:
Bepo (Bereitschaftspolizei -reparti antisommossa della Polizia)
BfV (Bundesamt für Verfassungsschutz- Ufficio Federale per la Difesa della Costituzione) il servizio segreto interno tedesco. Il corrispettivo in ambito statale il suo corrispet è il Landesamt für Verfassungsschutz o LfV.
BND (Bundesnachrichtendiest- Servizio Federale Informazioni) l’agenzia di intelligence tedesca
BKA (Bundeskriminalamt- Ufficio Federale di Polizia Criminale). Il servizio investigazioni federale
Il suo corrispettivo in ambito statale è il LKA (Landeskriminalamt- Servizio investigazioni Statale)
Landespolizei (Polizia Statale).
MAD (Militärische Abschirmdienst-Servizio informazioni militare)
Michéle è una bella ragazza, dal sorriso timido e gli splendidi occhi verdi.
Nella fotografia indossa l’uniforme da Polizeimeisterin della Landespolizei del Baden-Württemberg e porta i lunghi capelli scuri raccolti e ha solo un filo di trucco, come da regolamento.
Probabilmente la fotografia è stata scattata al termine del corso di allievo agente alla Scuola di Polizia di Biberach, che Michèle ha frequentato nel 2003, appena diciottenne.
Quattro anni dopo quell’immagine Michèle verrà uccisa in servizio, dando inizio ad un mistero sul quale le ombre non si sono ancora completamente dissolte.
Michèle è nata nel 1984 a Oberweissbach, un villaggio dell’allora Germania Est, nel Land della Turingia. Non ha mai conosciuto il padre naturale ed ha ricevuto il cognome del patrigno che l’ha cresciuta come se fosse la propria figlia. La ragazza cresce nel caos della riunificazione tedesca.
Passati gli entusiasmi della caduta del Muro, il passaggio dall’economia pianificata dallo Stato comunista al sistema capitalista della nuova Germania si fa sentire nei cinque Länder
della ormai ex DDR, dove le industrie ormai non più competitive chiudono, mettendo sul lastrico migliaia di lavoratori che non vedono prospettive per loro e le loro famiglie.
E’ in questo periodo che, approfittando della confusione provocata dalla riunificazione, i fantasmi del peggior passato della Germania riemergono dalle fognature della Storia.
Prima del 1989 nella Repubblica Federale Tedesca i neonazisti sono i proverbiali quattro gatti, per la maggior parte un branco di perdenti che non riescono ad adattarsi ai ritmi della società tedesca occidentale e che sono guardati con disprezzo dal resto della popolazione. All’inizio degli anni ’90 la situazione però cambia e, non solo nella ex DDR, i perdenti iniziano ad essere ascoltati da una popolazione senza più certezze.
In quegli anni iniziano gli attacchi a colpi di bottiglie molotov contro gli ostelli che accolgono gli stranieri richiedenti asilo. E’ una vera e propria campagna di terrore che costa decine di vittime in tutta la Repubblica Federale, quasi tutti immigrati e rifugiati. Gli assassini sono skinhead ed estremisti di destra, ma dietro di loro si stagliano delle strane ed inquietanti ombre.
Come a Solingen, questa volta nella Germania Ovest dove, nella notte del 29 maggio 1993, quattro giovanissimi skinhead, due dei quali minorenni, danno fuoco ad un ricovero per stranieri, bruciando vive una ragazza e tre bambine turche, una di appena 4 anni, mentre un ragazzo muore precipitando nel tentativo di sfuggire alle fiamme. Gli assassini sono quattro skinheads tra i 16 ed i 23 anni (tra questi il figlio ribelle di un medico pacifista e di un architetto ambientalista) e disoccupati.
Quattro perdenti che si incontrano nella scuola di arti marziali di Solingen, gestita da un individuo che, tanti anni dopo, si rivelerà essere un informatore della Bundesamt für Verfassungsschutz, il servizio segreto interno tedesco.
Forse non c’è nulla di sospetto in questo contatto. Forse c’è una spiegazione logica per capire come mai i quattro perdenti non siano stati scoperti e bloccati prima dell’orrore. Di certo Solingen non è l’unico mistero della Riunificazione tedesca.
La scelta di Michéle di arruolarsi forse è dovuta all’esempio dello zio Mike, agente della Landesamt für Verfassungsschutz o LfV, il servizio segreto interno del Land della Turingia ed investigatore nella lotta contro l’estremismo di destra, ma certo il villaggio natale le va stretto e le ristrettezze ed i problemi dell’ex Germania Orientale la fanno decidere per l’Ovest, più eccitante, più ricco e più vivo della lugubre Turingia post comunista. Negli anni successivi chiuderà con gli amici di Oberweißbach, “cancellandoli” ad eccezione di un paio di amiche, come racconterà suo nonno nel corso di un’ intervista.
Terminato il corso alla Scuola di Polizia di Biberach, Michèle viene assegnata alla 5. Bereitschaftspolizeidirektion di Böblingen, una città a nord di Stoccarda.
I Bereitschaftspolizei, o Bepos, sono delle unità di pronto impiego ed antisommossa della Polizia tedesca, destinate ad essere schierate in ordine pubblico o in supporto alle varie polizie dello Stato e dove i giovani agenti tedeschi si fanno le ossa, prima di proporsi per nuove destinazioni.
A Michèle il suo mestiere piace e si sa far valere. E’ in gamba, entusiasta, innamorata del proprio lavoro ed ambiziosa. Diventerà un bravo poliziotto, forse un grande poliziotto. Del resto le premesse ci sono tutte.
Quando c’è da lavorare non si tira mai indietro, nemmeno quando viene impiegata in tutto il Baden-Württemberg in supporto alla Polizia delle varie città o durante gli ordini pubblici più complicati e difficili, dalla gestione degli hoolingans a quella dei manifestanti di destra e sinistra. La Polizia del Baden-Württemberg l’ha anche utilizzata con successo come agente sotto copertura nelle indagini su una gang di trafficanti di droga russi di Heilbronn, una città nell’ovest del Land.
La sua vita privata procede come quella di tutte le ragazze della sua età. E’ una ragazza popolare, che ama divertirsi con gli amici. E’ una sportiva entusiasta che già in Turingia aveva praticato con discreto successo il biathlon e lo sci di fondo.
Ha qualche storia d’amore e, nell’aprile del 2007, si è appena messa insieme ad un collega. Un flirt, almeno per il momento.
Ma il suo vero amore resta il 5° Bepo di Böblingen. Come racconterà anni dopo il giornale tedesco “Welt am Sontag” in una sua ricostruzione della vicenda, sotto l’aletta parasole della Fiat Punto di Michèle verrà trovata una fotografia che la ritrae sorridente e felice insieme ai colleghi del suo reparto.
“Una famiglia”, come scriverà “die Welt”.
Ormai ritorna pochissimo a Oberweißbach e, quando lo fa è solo per pochi giorni, nei quali non fa mistero di voler tornare “a casa”, al Bepo. Come accade il 19 aprile 2007.
Si trova in ferie a casa del nonno materno quando le arriva una telefonata da Böblingen. Un collega è in malattia e lei deve sostituirlo. Ma, come dieci anni dopo racconterà il nonno a “Die Welt”, Michéle “non doveva, lei voleva tornare in servizio”.
Il 25 aprile Michéle si trova ad Heilbronn, una città ad una cinquantina di chilometri da Stoccarda, insieme ad un collega, il Polizeimeister Martin Arnold, 24 anni, a bordo dell’auto di pattuglia 523. Il loro compito è quello di allontanare dal parco i senza tetto che bivaccano nel parco di Theresienwiese. Un compito tranquillo, quasi banale. La mattina trascorre senza storia e, intorno alle 13 e 50 gli agenti della Volante 523 decidono di fermarsi per una sosta in un angolo tranquillo del parco, tra la pista ciclabile e una stazione di pompaggio dell’acqua. Vicino scorre il fiume Neckar, sovrastato da un ponte metallico sul quale transitano le auto. I due agenti mangiano i panini imbottiti che hanno acquistato in un vicino forno, poi si fumano una sigaretta. È allora che vedono i due uomini arrivare dal ponte metallico. Uno di loro è un uomo di mezz’età, vestito con pantaloni ed una camicia a maniche corte scura. I due poliziotti pensano che stiano per chiedere delle informazioni.
Michèle sospira “Neanche qui si riesce a stare un po’ in pace”
Sono le sue ultime parole.
Quando i poliziotti capiscono, ormai è troppo tardi. Il primo a sparare è l’uomo sulla destra e colpisce alla testa l’agente Martin Arnold, seguito dall’uomo che fa fuoco contro Michéle, raggiunta anche lei al cranio. Gli agenti Arnold e Kiesewetter non hanno scampo, chiusi nella loro autopattuglia trasformatasi in una trappola mortale.
Gli assassini agiscono prima ancora che l’eco degli spari si sia dissolta. Aprono le portiere della BMW della Polizia e si chinano sui corpi dei due poliziotti morenti. Si impossessano delle pistole d’ordinanza degli agenti e dei loro caricatori. La fondina di Michéle viene strappata con violenza dal suo cinturone. Per impossessarsi della sua arma, Martin viene trascinato all’esterno della volante e scaraventato a terra. Gli assassini si impadroniscono anche delle manette, del coltello multiuso e della torcia mini Maglite di Michéle, quindi si allontanano.
Alle 14 un ciclista che sta percorrendo la pista ciclabile del ponte di ferro sul Neckar si accorge della volante con le portiere spalancate e con qualcosa che ne sporge all’esterno. Il ciclista torna indietro e, da alcuni metri di distanza, si accorge del corpo insanguinato dell’agente Martin Arnold riverso a terra. In preda al panico il ciclista corre verso la vicina Stazione Centrale di Heilbronn e urla ad un taxista di dare l’allarme al 110, il numero di pronto intervento tedesco.
I soccorsi sono immediati. Gli agenti ed i paramedici intervenuti si rendono conto che, mentre per Michéle non c’è più nulla da fare, Martin è ancora vivo. Viene trasportato in elicottero all’ospedale della città di Ludwigsburg, dove viene sottoposto ad una delicata operazione neurochirurgica al cervello che riesce a salvargli la vita. I medici riveleranno che Martin è vivo grazie ad un incredibile caso: quando l’assassino ha premuto il grilletto, il poliziotto ha girato leggermente la testa verso destra. Il proiettile lo ha così colpito con un impatto terribile, ma non letale. Martin rimane in coma per settimane e, quando ne riemerge, la sua memoria non è nulla di più di un mucchio di frammenti senza valore.
In Germania simili agguati contro gli agenti risalgono agli anni ’70, agli Anni di Piombo. L’intera Repubblica Federale è sotto shock e la fotografia di Michéle in uniforme, con i suoi bellissimi e profondi occhi verdi, viene proposta da tutti i media tedeschi. Gli agenti del LKA, la Polizia investigativa del Baden-Württemberg, indagano febbrilmente sull’agguato. Oltre al ciclista che ha scoperto la volante di Michéle e Martin, c’è un testimone che dice di avere notato, nella via che attraversa il parco, un uomo salire a bordo di un furgone bianco nella strada che attraversa il parco urlando in russo “Davai!Davai!” “Avanti!Avanti!”. Viene spontaneo pensare ad un collegamento con la banda di narcotrafficanti russi contro la quale Michéle aveva agito sotto copertura, ma la pista si rivela quasi subito negativa. Ci sono testimonianze abbastanza credibili, che parlano di due o tre uomini che, all’ora dell’attacco, fuggono insanguinati dal Theresienwiese. Gli investigatori sono propensi a credere ai testimoni, anche perché gli assassini, sia durante l’attacco, sia durante il furto delle armi di Martin e Michéle non possono non essersi sporcati di sangue e di materia. Vengono creati anche due identikit, che rappresentano due uomini di circa 25-30 anni. Ma questa pista, come tante altre, termina in un vicolo cieco.
Pochi giorni dopo un lungo corteo funebre di agenti in divisa verde e kaki percorre le stradine di Oberweißbach, il villaggio natale di Michèle. Davanti al mesto corteo, due poliziotti reggono un grande ritratto di Michéle.
La giovanissima Polizeimeisterin viene sepolta nel villaggio da dove era fuggita appena quattro anni prima, cercando le luci dell’Ovest.
Mentre il pastore protestante che ha officiato i funerali cerca di fornire parole di conforto per la madre e la sorella, la famiglia del 5° Bepo guarda la fossa, che viene lentamente ricoperta di terra.
Nella mente di tutti loro, una sola parola.
Una domanda “Warum?”
“Perché?”
Una settimana dopo l’agguato alla Volante 523, Mike, lo zio di Michéle, agente della Polizia della Turingia e investigatore sui crimini neonazisti, nel corso di un incontro invita i colleghi del Baden-Württemberg a indagare sul possibile collegamento tra l’assassinio della nipote e la serie di omicidi che, con un termine forse un po’ greve vengono chiamati “ gli omicidi dei Kebab”, dato che le nove vittime di questi attacchi sono per la maggior parte immigrati o cittadini tedeschi di origine turca o greca. Che si sappia, però, gli investigatori non percorrono questa strada, anche perché ora gli esami da parte della Polizia Scientifica hanno offerto una pista che appare decisiva.
Sui corpi degli agenti Kiesewetter e Arnold sono state trovate tracce di DNA femminile. Il problema è che questo stesso DNA è stato trovato sulla scena di decine di altri reati avvenuti nel corso di circa quattordici anni in Germania, Austria e Francia. Sei omicidi, furti, rapine, conflitti a fuoco tra gang dell’Est Europa. Si comincia a parlare del “Fantasma di Heilbronn”, della “Donna senza volto” e gli investigatori temono di trovarsi di fronte ad una donna serial killer, ad un mostro, un genio del male che colpisce da tanti anni, prediligendo soprattutto la Germania, dai confini con la Danimarca a quelli con la Svizzera. Fa eccezione la Baviera, dove “la Donna senza volto” non ha mai colpito. E’ forse lì la sua base?
Peccato però che in tutti e tre i Paesi coinvolti ci siano poliziotti e medici legali che non sono completamente convinti dalla pista del “Fantasma”. Infatti, dopo circa due anni, gli investigatori austriaci scoprono che “la Donna senza Volto” non era altro che un’operaia distratta e sciatta dell’azienda bavarese che produce i tamponi usati dalle Polizie di Austria, Francia e di quasi tutta la Germania e che, non adottando le misure di sicurezza prescritte, ha contaminato Dio solo sa quanti kit per i rilievi del DNA.
La Baviera ha quindi fatto eccezione non perché rifugio della “Donna senza volto” ma solo perché la locale Landespolizei si serve da altre aziende.
E’ un episodio grottesco, che fa arenare nuovamente le indagini sull’assassinio di Michéle.
Dopo il fallimento della pista del “Fantasma”, alcuni giornalisti tedeschi si pongono una serie di domande: perché Michéle e Martin indossavano i giubbotti antiproiettile? Non è un po’ esagerato per lo sgombero di qualche barbone nel parco? E poi, che ci facevano ad Heilbronn alcuni militari delle Forze Speciali delle Forze Armate americane e agenti dell’FBI? E’ casuale la presenza ad Heilbronn di estremisti mediorientali? Nel 2007 i servizi segreti tedeschi ed americani sono impegnati nella caccia ad un gruppo di terroristi islamici, chiamato in codice “Gruppo Sauerland”. I primi anni 2000 sono segnati anche dalle cosiddette “rendition”, ovvero i sequestri di individui collegati con al Qaeda, compiuti dalla CIA con la tolleranza o la connivenza da parte delle autorità locali. E’ possibile che ciò stesse accadendo anche ad Heilbronn e che in qualche modo anche Michéle ne sia stata coinvolta?
Un documento riservato americano, pubblicato dalla rivista “Stern” nel 2017, afferma che l’attacco alla Volante 523 è avvenuto sotto gli occhi di alcuni osservatori statunitensi dell’FBI e di agenti tedeschi del BvF , i quali non sarebbero intervenuti per non “bruciare” così la loro presenza e la loro sorveglianza illegale di alcuni estremisti islamici, obiettivo di un possibile sequestro. Americani e tedeschi negano e parlano di un documento falso, ma il dubbio rimane.
L’inchiesta svolta definitivamente il 4 novembre 2011. Siamo in Turingia, il Land natale di Michéle.
Poco dopo le 9 del mattino, due uomini rapinano la filiale della banca Sparkasse di Eisenach, una cittadina nei pressi del vecchio confine tra le due Germanie. I due rapinatori vengono visti salire su un camper bianco che alle 11,55 viene intercettato da una volante della Polizia della Turingia. Quando gli agenti si avvicinano armi in pugno, sentono due colpi d’arma da fuoco provenire dal veicolo, quindi vedono le fiamme sprigionarsi al suo interno.
Quando i vigili del fuoco spengono l’incendio, scoprono due corpi. Si tratta di due giovani neonazisti, Uwe Böhnhardt e Uwe Mundlos, suicidatisi dopo avere intuito di essere ormai senza scampo. Nel camper vengono rinvenute le armi usate nell’attacco alla Volante 523 ad Heilbronn. Mentre gli investigatori di BKA e del LKA della Turingia indagano tra i resti del camper di Eisenach, i vigili del fuoco accorrono nella cittadina di Zwickau, ad una cinquantina di chilometri, dove spengono un incendio in un appartamento della periferia .
Le fiamme sono state fermate in tempo e, all’interno dell’abitazione, gli investigatori fanno una scoperta incredibile. Trovano le armi degli agenti Martin Arnold e Michèle Kiesewetter, le manette di Michèle, un paio di pantaloni da jogger macchiati di sangue.
Il sangue di Michèle, come verrà accertato dall’esame del DNA.
Ma non solo: vengono rinvenuti una pistola CZ83 di fabbricazione ceca e alcuni DVD nei quali Uwe Böhnhardt e Uwe Mundlos rivendicano la serie di omicidi della Ceska a nome del loro gruppo: la Nationalsozialistischer Untergrund o Clandestinità Nazionalsocialista.
Quindi la Polizeimeisterin Michèle Kiesewetter è stata assassinata da dei terroristi neonazisti?
Le prove dicono di sì.
Quanto al motivo, questa è un’altra storia
FINE PRIMA PARTE
Fonti: (in lingua tedesca)
https://www.stern.de/politik/deutschland/nsu-prozess/
https://www.sueddeutsche.de/politik/nsu-prozess-warum-wurde-michele-kiesewetter-getoetet-1.3791322
https://www.sueddeutsche.de/politik/nsu-prozess-warum-wurde-michele-kiesewetter-getoetet-1.3791322