L’essenza di un Caduto
Sono morto un giorno. O una notte.
Sono morto sul freddo dell’asfalto, falciato da una macchina o da una raffica di mitra; in una trincea, dilaniato da una bomba; su un binario della ferrovia o tra le onde del mare, mentre cercavo di salvare una vita sacrificando invece la mia.
Sono stato ucciso da chi mi odiava per la divisa che portavo, per ciò che rappresentavo; sono stato assassinato da chi magari vestiva pure lui una divisa, fucilato o impiccato o gettato nell’orrido di un abisso. Pochi e fortunati quelli di noi che sono andati avanti da un letto di ospedale, confortati dai propri cari.
Sono morto indossando una giubba, poco importa che avesse sopra le stellette, i Fasci Littori, i Gladi o il monogramma repubblicano. Ancora meno importa che avessi giurato fedeltà al Re, al Duce o alla Repubblica.
Sono morto facendo il Poliziotto.
La mia memoria è stata esaltata con la stessa facilità con cui è stata dimenticata. Un nome, un fascicolo. A volte una lapide. Sono stato sepolto con tutti gli onori, tra squilli di tromba e rulli di tamburo, oppure di me non è restato niente, nemmeno quello sterile telegramma partito da un fronte lontano e in cui hanno perfino storpiato il mio nome. Disperso, si dice con termine umano.
La mia morte ha dato lustro alla Patria, ma è stata anche nascosta quando avrebbe messo in imbarazzo il potente di turno, per il quale il “credere, obbedire, combattere” non contemplava anche l’essere uccisi. Polvere da nascondere sotto al tappeto, insomma.
Hanno dato il mio nome a una via, a una piazza; hanno messo una medaglietta sul petto di un mio caro, talvolta gli hanno dato anche il mio stesso lavoro. Ma il tempo è una brutta bestia: siamo in tanti, qui, a patirne l’oblio. Eppure una palla in fronte ha lo stesso risultato di un’anonima scivolata dalla motocicletta.
Ero un giovane, a volte perfino minorenne, arruolato falsificando un certificato di nascita oppure arruolato per forza in un’epoca folle; ma ero anche un uomo di mezza età, a un passo dalla pensione, tradito dal proprio cuore dietro a una scrivania di un ufficio. La mia morte è stata una lenta agonia oppure un battito di ciglia che mi ha spento istantaneamente.
Ero un uomo.
O una donna.
Avevo affetti, passioni, cose da fare, una vita da vivere. Tutto mi è stato tolto.
Ma non la memoria.
Quella no.
(Dedicato a Luca Buttarello, grande amico, fratello di giubba, ma soprattutto uomo buono)
Molto commovente… stupendo
Grazie , uno stupendo ricordo una poesia struggente, un ricordo di un bravo poliziotto e di un grande uomo. Grazie