Colpo accidentale d’arma da fuoco
Troppe volte in tutti questi anni di ricerche sui nostri Caduti ci siamo imbattuti in episodi tragici che venivano sempre catalogati con un asettico “colpo accidentale di arma da fuoco”.
Tragedie che hanno costellato la nostra storia, dai tempi in cui l’Italia unita ancora gorgheggiava nella culla: il primo Caduto ufficiale per un “colpo accidentale di moschetto” fu la guardia di Pubblica Sicurezza Francesco Lo Bianco il 12 febbraio 1863.
Tragedie che avevano per lo più a che fare con una formazione specifica molto superficiale, con una scarsa consapevolezza dei poteri lesivi di un’arma da fuoco e dei suoi maneggi di sicurezza, fino a basarsi su gesti di assoluta dabbenaggine da parte di agenti (molto spesso giovanissimi) che si mettevano a giocare con le armi fino alle estreme conseguenze, giustificandosi sempre con la stessa frase: “Pensavo fosse scarica…”.
Molti di noi della “vecchia guardia” si ricordano ancora delle scritte a caratteri cubitali che campeggiavano nei dormitori delle caserme: “Vietato custodire armi in camerata”. Erano frasi apparentemente insensate, tuttavia molto più significative se messe in relazione al numero esorbitante di incidenti con le armi – molti dei quali a esito fatale – avvenuti nel corso dei decenni quando non si disponevano delle moderne “cellette” ove depositare la propria arma.
Quanti sono i Colleghi deceduti così, dalla nascita della Polizia?
Ottantaquattro.
Tanti? Pochi? Non so.
Evitabili? Sicuramente sì.
L’evoluzione della Polizia, grazie anche alla maggiore professionalità dei tantissimi istruttori di tiro e all’adozione di tecniche specifiche di maneggio e di custodia delle armi da fuoco, abbattè drasticamente questo tipo di incidenti. Gettate via le obsolete e insicure Beretta modello 34, 35 e 51 e tutti quei mitra MAB la cui sigla veniva “scherzosamente” (ma non troppo…) riformata in “Mitra Ammazza-Burbe”, furono introdotte armi dal ciclo funzionale simile, ma con maggiori criteri di sicurezza passiva: anche questo contribuì far crollare in modo significativo i colpi “partiti per sbaglio”.
Tuttavia, fino alla fine degli anni Novanta le cronache ci hanno riportato ancora incidenti nel maneggio delle armi, l’ultimo dei quali avvenne il giorno di Natale del 1999 all’interno del commissariato di Bovalino dove un agente, nel giocherellare incautamente con la propria pistola, fece partire un colpo che uccise il collega Giovanni Cistulli, di soli 24 anni. Per la disperazione il giovane agente si tolse la vita subito dopo: una doppia tragedia che contribuì in modo rilevante a rimodulare gli addestramenti al tiro privilegiando i maneggi di sicurezza delle armi in dotazione, obbligando ogni ufficio e reparto a dotarsi di apposite aree di per poterli effettuare e “serrando le fila” sulle sessioni di tiro nei poligoni, facendovi partecipare anche quei poliziotti che, per la loro designazione a mansioni esclusivamente burocratiche, fino ad allora avevano preso in mano la pistola forse una volta all’anno.
Un tale sistema ha dato i suoi frutti. Gli incidenti di tiro ad esito mortale dopo il 1999 sono scomparsi e i colpi esplosi per errore sono avvenuti praticamente tutti sulle linee di tiro, in condizioni tali da non nuocere a nessuno e finiti con un colossale cazziatone da parte dell’istruttore e il caffè pagato per tutti dallo sventurato “pierino”.
Fino ad oggi.
Oggi, quando improvvisamente ci siamo tutti risvegliati da un bel sogno, con una sonora secchiata di acqua ghiacciata che ci ha riportato tragicamente coi piedi per terra, convinti com’eravamo che incidenti del genere non sarebbero più accaduti. Oggi il “colpo accidentale di arma da fuoco” ci ha portato via un altro collega, Sergio Di Loreto; ci ha fatto capire che non esiste una sicurezza ASSOLUTA nel maneggiare un’arma da fuoco e che ogni motore, per quanto ben rodato, può sempre grippare; ci ha fatto sentire tutti un po’ più “nudi”.
Da queste pagine, che da sempre rifuggono retorica, polemiche e sensazionalismi, vogliamo che traspaia una sola cosa: la vicinanza.
Vicinanza ai familiari di Sergio, colpiti così duramente nei loro affetti più cari.
Vicinanza al collega dalla cui arma è partito il colpo, oggi proiettato in un baratro inimmaginabile di disperazione.
Vicinanza alla categoria degli Istruttori di Tiro, persone dalla preparazione indiscussa e indiscutibile, tra i migliori d’Europa nella formazione del personale, e che da oggi dovranno rivedere ancora una volta i criteri addestrativi traendo ulteriore esperienza da questa immensa tragedia, nella consapevolezza che morte di Sergio non è stata né dovrà mai essere vana.
Per la Redazione di Cadutipolizia: Gianmarco Calore