La Corte Giuseppe ✞ 17/11/1926
- Data:17/11/1926
- Età:46
- Causa:Conflitto a fuoco
- Corpo:Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza
- Grado:Maresciallo
- Provincia:Milano
- Reparto:Regia Questura
Fu ucciso il 17 Novembre a Milano in uno scontro a fuoco con una banda di criminali, insieme al collega, il brigadiere di Pubblica Sicurezza Sebastiano Pulvirenti.
Il 13 Novembre un orefice veniva assassinato da una banda di ladri in via Manzoni n°44 a Milano. La Squadra Mobile di Milano aveva immediatamente scoperto che la base d’appoggio dei ladri era una piccola trattoria in via General Govone n°18, nella parte settentrionale del capoluogo lombardo. Per la cattura dei criminali fu deciso di impiegare una squadra formata dal maresciallo Giuseppe La Corte e dai brigadieri Sebastiano Pulvirenti e Carlo Montanari poiché, essendo da poco giunti alla Squadra Mobile, i tre sottufficiali avevano la possibilità di infiltrarsi negli ambienti della malavita milanese senza essere riconosciuti come poliziotti.
La mattina del 17 Novembre il proprietario dell’osteria, sospettato di connivenza con i ricercati, era stato accompagnato in Questura. La Polizia aveva quindi invitato la moglie dell’oste a collaborare, concordando anche una parola d’ordine per quando i sospetti si fossero presentati nel locale. Intorno alle 16 del 17 Novembre il maresciallo La Corte ed i brigadieri Montanari e Pulvirenti, travestiti da operai, si presentavano nell’osteria. Mentre La Corte e Montanari si recavano in una saletta del locale, fingendo di giocare a carte, Pulvirenti invece si posizionò al bancone. Poco prima delle 17 due giovani entrarono nell’osteria. La moglie del proprietario del locale fece il segnale convenuto al brigadiere Pulvirenti il quale bloccò la porta ordinando ai due sospetti di arrendersi, mentre il maresciallo La Corte e il brigadiere Montanari bloccavano l’uscita posteriore del bar.
Secondo quanto riferito dal Corriere della Sera nell’edizione del giorno successivo, il brigadiere Montanari, notando che uno dei sospetti stava per estrarre una pistola dalla tasca gli si era lanciato addosso, cercando di disarmarlo, ma nel corso della colluttazione con il criminale era precipitato nella botola d’accesso alla cantina, rimanendo contuso. Di questo avevano approfittato i ricercati per estrarre le pistole ed aprire il fuoco esplodendo nove colpi contro il maresciallo La Corte e il brigadiere Pulvirenti, abbattendoli entrambi e quindi fuggendo all’esterno.
Il brigadiere Montanari raccontò che, una volta riemerso dalla cantina dove era caduto, aveva tentato inutilmente di soccorrere i colleghi morenti e di catturare gli assassini, ispezionando arma in pugno l’intero edificio dove si trovava l’osteria, senza trovarne traccia. I due assassini vennero riconosciuti per due pericolosi banditi, uno dei quali era Sante Pollastri, uno dei più feroci criminali degli anni ’20, responsabile dell’omicidio, tra Piemonte, Liguria e Lombardia di cinque carabinieri, dell’orefice di Via Manzoni a Milano e di altri due civili.
La caccia agli assassini iniziò immediatamente, diretta da uno dei migliori poliziotti dell’epoca, il vicecommissario Rizzo della Squadra Mobile della Questura di Milano, il quale riuscì ad arrestare Pollastri in Francia ed a farlo estradare in Italia. Al successivo processo Sante Pollastri venne condannato all’ergastolo. Liberato nel 1959 morì a Novi Ligure nel 1973. Gli altri membri della banda furono condannati a pesanti pene detentive.
Il brigadiere Carlo Montanari, unico superstite della sparatoria nell’osteria di Via General Govone, venne osannato come un eroe sui giornali dell’epoca. In realtà la sua versione non fu creduta dai vertici della Questura di Milano, i quali lo sottoposero ad un severo procedimento disciplinare al termine del quale venne destituito ed allontanato dalla Polizia per “manifesta vigliaccheria”.
Il funzionario dirigente della Sezione della Squadra Mobile alla quale appartenevano i tre sottufficiali fu costretto a dimettersi, poiché ritenuto responsabile della disastrosa operazione e di avere compiuto diversi errori nel corso dell’indagine.
Il maresciallo Giuseppe La Corte era entrato in Polizia nel 1905 ed era diventato maresciallo nel 1920, prestando servizio presso il Commissariato Duomo (oggi Commissariato Centro) della Questura di Milano. Egli, come il brigadiere Pulvirenti, prestava servizio presso la Seconda Squadra della Squadra Mobile dal 25 Settembre 1926.
Giuseppe La Corte lasciò la moglie e due figli.
Fonte: “Corriere della Sera” del 18 e 19 Novembre 1926; “Il bandito ed il campione” di Marco Ventura, edizioni Il Saggiatore 2006.
Recensioni: Il commissario Rizzo e il bandito Pollastri