Mafrice Pasquale ✞ 01/05/1945
- Data:01/05/1945
- Età:41
- Data di nascita:30/07/1903
- Provincia di nascita:Reggio Calabria
- Luogo di nascita:Reggio Calabria
- Provincia:Cremona
- Causa:Evento Bellico
- Grado:Maresciallo Maggiore
- Corpo:Polizia Repubblicana
- Reparto:Questura Repubblicana
Venne sommariamente fucilato dai partigiani la mattina del 1° maggio all’interno della caserma “del Diavolo” di Cremona assieme al questore Pio Raniero Di Biagio, al commissario Domenico De Fabrizio (suo Capo di Gabinetto) e al brigadiere di P.S. Vito Marziano, oltre ad altre 7 persone, tra cui una donna.
Riportiamo la versione integrale dei fatti pubblicata su “Il Vascello” – pagine di storia: l’eccidio della caserma “del Diavolo”.
“La caserma “del Diavolo” durante la Repubblica Sociale Italiana era diventata sede di una compagnia della Guardia Nazionale Repubblicana; il 26 aprile 1945, nel pomeriggio, venne occupata dai partigiani comunisti e subito trasformata in carcere per i prigionieri politici. Il comandante era Giuseppe Marabotti con l’approvazione del questore della Liberazione Ferretti e dei comandanti di piazza partigiani Salvalaggio e Ughini, il primo impiegato presso la Provincia e il secondo presso un istituto bancario cittadino. Lì venivano rinchiusi i combattenti della RSI catturati anche fuori Cremona. I giorni dell’ira trovarono qui la loro sede principale. Il 1° maggio 1945 vennero stesi a colpi di mitraglia e di armi da fuoco dodici cittadini di Cremona: undici uomini e una donna, Lucilla Merlini, di 25 anni, colpevole di essere la sorella di un “fascista”, Mario Merlini, già assassinato il giorno precedente. Si disse che Lucilla Merlini fosse in attesa di un figlio, tale indiscrezione circolava tra i partigiani, ma dalla esumazione ordinata dal magistrato Fulvio Righi ed eseguita il 16 giugno 1955 si è giunti ad escludere tale ipotesi. Furono invece trovati fori di proiettile nella cassa da morto, a dimostrazione del fatto che Lucilla Merlini fu colpita anche dopo la fucilazione o che forse aveva dato segni di vita quando era ormai rinchiusa nella cassa. Nella circostanza furono esumate pure le salme di Cesare Santini e di Vito Marziano, brigadiere di Polizia: il cranio di quest’ultimo era spaccato: fu forse finito con il calcio di un fucile. […]
La notte prima dell’eccidio si era riunito il Tribunale Militare Straordinario altrimenti chiamato Tribunale del popolo ed aveva deliberato sommariamente la fucilazione di una trentina di “fascisti” detenuti nelle varie carceri cremonesi. Eppure era giunta il giorno 30 aprile una disposizione del Comando Alleato con la quale venivano vietate in modo assoluto tutte le esecuzioni di condanne a morte dei fascisti detenuti. In seno al cosiddetto Tribunale del popolo vi fu chi – come G. Marabotti – chiese l’osservanza della predetta disposizione. Ma un gruppo di “duri” ebbe partita vinta. Marabotti si dimise. Ottenne solo che i 13 condannati a morte diventassero 12. Ebbe salva la vita C.O.. Nessuno dei dodici condannati fu interrogato o ammesso a difendersi. Per Lucilla Merlini risulta che vi furono dei pro e dei contro e delle incertezze fino all’ultimo momento, poi si decise di fucilarla…”
Fonte: Istituto storico RSI; testimonianza di don Luciano Zanacchi, che ha impartito l’estrema unzione ai condannati, in “Fronte Democratico” del 3 maggio 1945 ripresa dal quotidiano “Mondo Padano”; “Il Vascello – pagine di storia” in http://members.fortunecity.com/vascello/caserma-diav/pages/Lucilla%20Merlini.htm
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Leggendo la scheda si deduce che gli alleati volevano che fossero seguite regole ben precise nella gestione degli appartenenti alla ex R.S.I., che andavano quindi considerati prigionieri di guerra a tutti gli effetti, da trattare secondo le convenzioni internazionali.
Eppure su altre schede sembra che i vari comitati partigiani non abbiano potuto o voluto mettere in pratica questa direttiva, ordinando addirittura di prelevare i feriti negli ospedali e scontrandosi addirittura con gli Anglo Americani che tentarono di impedire quello scempio!
Ma in realtà come andarono le cose?
Non è possibile tracciare una linea di condotta comune alle varie formazioni partigiane: molto dipese dal loro orientamento politico, ma anche dalla zona geografica interessata dagli eventi. Sotto il primo aspetto sicuramente i “garibaldini” si comportarono in modo più drastico rispetto agli omologhi di orientamento cattolico; sotto il secondo aspetto provincie come Genova, Torino, Milano, Bologna,Reggio Emilia ed altre trattarono i prigionieri con molto più rigore rispetto ad altre. Insomma, il nord Italia della Liberazione fu una gigantesca macchia di leopardo in cui lo stesso CLNAI si trovò in seria difficoltà nella gestione delle varie formazioni partigiane.