Scimone Francesco ✞ 12/05/1945
- Data:12/05/1945
- Età:32
- Data di nascita:09/06/1913
- Provincia di nascita:Messina
- Luogo di nascita:Messina
- Causa:Deportazione - Prigionia per cause belliche
- Causa:Evento Bellico
- Grado:Guardia
- Corpo:Polizia Repubblicana
- Reparto:Questura Repubblicana
- Provincia:Trieste
Fu catturato dai partigiani jugoslavi al momento del loro ingresso a Trieste e detenuto nelle carceri del Coroneo sino al 12 Maggio quando venne deportato. Ufficialmente disperso, anche se quasi certamente venne ucciso nella stessa Trieste. In quest’ultimo caso molto probabilmente il suo corpo venne gettato nella foiba dell’Abisso Plutone di Basovizza (TS) nella quale centinaia di italiani prigionieri degli jugoslavi furono scaraventati durante i Quaranta Giorni dell’occupazione jugoslava del capoluogo giuliano.
La famiglia di Francesco Scimone risiedeva a Messina e la caduta della Sicilia nelle mani degli Alleati, nell’agosto del 1943 aveva definitivamente separato la guardia Scimone dai suoi familiari, i quali non lo avrebbero mai più rivisto.
Il Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste, il comando della Resistenza italiana in città, insorse il 28 Aprile contro gli occupanti tedeschi ed i collaborazionisti italiani. Ne nacque una furibonda battaglia costata la vita a circa un centinaio di partigiani italiani ed a un numero imprecisato di soldati tedeschi. Al fianco degli insorti italiani parteciparono attivamente gli uomini delle Forze dell’Ordine, per la maggior parte finanzieri ma anche agenti di polizia.
Il 1° Maggio, quando buona parte della città era stata liberata dagli insorti, ad eccezione di alcuni capisaldi fortificati, intervennero le truppe del IX Korpus dell’Esercito Jugoslavo che parteciparono ai combattimenti finali, anche se gli ultimi tedeschi si arresero solo il giorno successivo alle truppe neozelandesi appena entrate a Trieste. Già dal momento del loro ingresso in città l’OZNA, il servizio segreto jugoslavo, aveva iniziato ad arrestare in massa di cittadini italiani, non solo fascisti ma anche civili, militari e membri delle Forze dell’Ordine italiane, tra i quali centinaia di poliziotti e molti partigiani italiani. Molti vennero gettati nelle foibe carsiche, come il cosiddetto Abisso Plutone a Basovizza, dal quale alla fine dell’occupazione jugoslava (avvenuta il 12 Giugno 1945) vennero estratti centinaia di cadaveri. Altri vennero deportati in Jugoslavia dove la maggior parte morì nei campi di prigionia. Altri ancora, infine, vennero messi a morte al termine di processi sommari eseguiti dai cosidetti di Tribunali del Popolo.
A collaborare attivamente nei massacri vi furono molti ex collaborazionisti dei tedeschi e molti pregiudicati comuni, inseriti negli apparati repressivi jugoslavi. A Trieste divennero tristemente noti in organizzazioni chiamati Guardia del Popolo o Squadra Volante. Quest’ultimo gruppo aveva sede nella famigerata Villa Segrè che durante l’occupazione tedesca era stata sede di un gruppo collaborazionista fascista e che nei Quaranta Giorni dell’occupazione jugoslava fu luogo di detenzione e tortura per molti italiani. Gli assassini dell’OZNA, dei Tribunali del Popolo jugoslavi ed i loro collaborazionisti italiani furono perseguiti dalla Giustizia soltanto alla fine degli anni ’90, ma Croazia e Slovenia non collaborarono con le Autorità italiane. I responsabili superstiti dei massacri delle foibe e dei cosiddetti Quaranta Giorni dell’occupazione jugoslava di Trieste (tutti ormai ultraottantenni), risiedono indisturbati in Slovenia e Croazia.
Ne viene mantenuta l’appartenenza alla disciolta Polizia Repubblicana mancando un decreto di transito nel Corpo delle Guardie di P.S..
Fonte: “ La Pubblica Sicurezza sul Confine Orientale 1938-1945 ” di Mario De Marco; “ L’occupazione jugoslava di Trieste” di Ennio Maserati , Del Bianco Editore ; “Infoibati” di Guido Rumici ed. Mursia
Buona sera.
Quella operata dagli jugoslavi fu una vera e propria “pulizia etnica”.
Non bisogna meravigliarsi se durante la sanguinosa guerra civile che negli anni 90′ del secolo scorso, ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia, questo termine è tornato tristemente alla ribalta.
i “nipotini” di Tito lo hanno messo in pratica dopo averlo imparato dai loro nonni, che lo avevano sperimentato a spese degli Italiani in Istria e Dalmazia!
Mi sia consentito poi di aggiungere che i negazionisti (e purtroppo ce ne sono ancora parecchi tra i nostri connazionali!), sostengono che la colpa è stata solo nostra ed in particolare dell’italianizzazione forzata di quelle terre, imposta dal fascismo.
Questo è anche vero, ma ciò non toglie che la “caccia all’italiano” coinvolse anche tanta gente onesta e laboriosa, sia poliziotti, militari e civili, che con il fascismo non aveva niente a che fare ed anzi, si adoperò per combatterlo, anche a fianco degli stessi partigiani jugoslavi, che li “ringraziarono” poi nel modo che sappiamo.
Con cordialità.
Maurizio Bedin, Sabaudia (Latina).